L’ADORAZIONE DEI MAGI DI PIETRO CAVALLINI NELLA BASILICA DI S. MARIA IN TRASTEVERE

Una sapienza antica si inchina davanti all’Atteso

L’ADORAZIONE DEI MAGI Cavallini
L’ADORAZIONE DEI MAGI Cavallini

Nel ciclo di mosaici che Pietro Cavallini realizza, intorno a 1250, per l’abside della Basilica romana di S. Maria in Trastevere, quello dedicato all’Adorazione dei Magi va osservato e indagato con particolare attenzione, dal momento che risponde ad un preciso intento teologico.

Ciò che l’artista vuole mostrare è l’Epifania, vale a dire la manifestazione di Gesù nella sua natura divina e nel suo ruolo di Salvatore di ogni uomo e di ogni popolo.

L’ADORAZIONE DEI MAGI Cavallini

Il centro focale della rappresentazione è il trono su cui è collocata Maria che tiene in braccio il Bambino. Ella indossa una veste rossa, simbolo della sua umanità, ed è rivestita di un manto azzurro bordato d’oro, ad indicare che ciò che è nato dal suo grembo viene da Dio.

Siede su un cuscino rosso che copre uno scranno marmoreo, un trono imperiale. Ma il particolare più importante è il suppedaneo, su cui Maria poggia i suoi piedi. Un osservatore medievale avrebbe subito intuito il significato di quell’oggetto: solo l’imperatore e la sua consorte potevano sedere su un trono provvisto di suppedaneo. Maria, dunque, è come un’imperatrice e, sulle sue ginocchia, ella porta una persona rivestita di altissima dignità. Quella dell’imperatore, il cui potere si riteneva discendesse direttamente da Dio? Ben di più: quel Bambino, che si mostra come una creatura umana, in realtà è vero Dio.

Maria e il Bambino si trovano davanti ad un tempio, ad indicare – ancora una volta – che il piccolo Gesù è di natura divina.

Particolarmente interessante è l’atteggiamento della Madonna, che non si limita a reggere il piccolo tra le sue braccia, ma lo presenta, lo mostra, si potrebbe dire che lo offre. Ella sta svolgendo il ruolo di Cristofora, di colei che porta Cristo per offrirlo al mondo.

L’ADORAZIONE DEI MAGI Cavallini

Davanti al Bambino sfilano i magi, vestiti alla moda orientale e con ricchissimi abiti: dai calzari costellati di pietre preziose, agli abiti pregiati con decorazioni raffinate, fino ai mantelli di colore soffuso e delicato. Il loro capo è coronato da diademi, ad indicare la loro dignità regale.

Sono tre, secondo il numero fissato dalla tradizione: essa, tuttavia, non trova conferma nel testo del Vangelo di Matteo che parla di “alcuni” magi provenienti dall’Oriente.

Se con la parola “magi” intendiamo antichi saggi, osservatori del cielo e cultori della sapienza astrologica, essi sono figure capaci di mostrare come quel Gesù che si recano ad adorare sia il Salvatore atteso dai secoli, dai popoli e da tutti coloro che si interrogano sul senso dell’esistenza e del destino dell’uomo. Se invece con la denominazione di “magi” intendiamo antichi sovrani, la loro presenza dice che quel Bambino è il vero Re, il Messia annunciato dai profeti e lungo tutto l’Antico Testamento.

Essi si inchinano, riconoscendo la divinità del bambino Gesù e aprono i loro scrigni, offrendo oro, incenso e mirra. Si tratta di tre doni che hanno a che fare con la persona e la missione di Cristo Salvatore. Egli riceve l’oro in quanto rivestito di dignità regale: è il Re divino che rivela agli uomini il volto amorevole del Padre. Accoglie l’incenso, simbolo del suo sacerdozio eterno ed universale. Infine riceve la mirra, la resina utilizzata per imbalsamare le salme e per curare le ferite, allusione alla sua deposizione nel sepolcro, dopo aver donato se stesso sulla Croce.

L’ADORAZIONE DEI MAGI Cavallini

Giuseppe si trova in piedi, alle spalle di Maria e del Bambino ed in secondo piano rispetto a loro, ad indicare che il suo ruolo è limitato a quello di padre putativo di Cristo. Ha il volto pensoso: si interroga intorno al senso della visita che il Bambino di cui è custode sta ricevendo. Vive una dimensione di raccoglimento, come indica il colore indaco della sua veste e come testimonia il gesto di avvolgersi con il mantello. Egli, inoltre, comprende che il Figlio di Maria ha natura divina: tiene infatti velata la sua mano sinistra, in segno di adorazione.

L’ADORAZIONE DEI MAGI Cavallini

Uno sfondo piuttosto irreale funge da quinta architettonica per l’intera scena e un monte roccioso si staglia in lontananza.

È la lontananza dei secoli che hanno lungamente atteso la venuta di Cristo,

è la lontananza dei popoli chiamati ad accogliere l’annuncio della salvezza,

è la lontananza dei cuori che rischiano di non accorgersi della presenza di Dio.

Da quel monte lontano sgorga un fiume, segno del Battesimo, sorgente di grazia, e dalla roccia sorge un tronco, allusione al germoglio che spunta dal tronco di Iesse, padre del Re Davide, di cui parla il Profeta Isaia al capitolo 11 per indicare la discendenza umana di Gesù: Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto dalle sue radici.

Ma quell’albero è anche simbolo della Croce su cui Cristo sarà inchiodato per salvare l’umanità. Essa è innalzata sul Golgota, fuori dalle mura di Gerusalemme, circondata da alte mura.

È proprio Gerusalemme con il suo Tempio la città che sorge sulla sommità del monte. Una strada conduce alla città: è quella che Gesù percorrerà alla fine dei suoi giorni terreni, ma anche quella che ognuno di noi deve percorrere per attingere salvezza da Lui.

L’intera scena è dominata dalla stella, collocata al centro dello spazio del cielo: è l’astro che ha guidato i magi nel loro cammino verso il Bambino, ma è anche il simbolo delle profezie che, lungo l’Antico Testamento, hanno annunciato la nascita del Salvatore.

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Al di sotto della rappresentazione corre la scritta capace di sintetizzare il senso profondo di quell’evento:

Gentibus ignotus stella duce noscitur infans in presepe iacens celi terreque profundi conditor atque magi myrram thus accipit aurum.

Ignoto alle genti, grazie alla guida di una stella viene conosciuto, adagiato in una mangiatoia, il Neonato, Creatore del profondo cielo e della terra: e la mirra, l’incenso, l’oro dei Magi riceve.


Domenico Vescia


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