É il momento in cui “Si fa buio su tutta la terra" (cfr Mc 15,33). Le tenebre sono scese e schiacciano la città il cui profilo si mostra all’orizzonte. Gerusalemme, circondata dalle sue mura e presidiata dalle sue torri, appare sicura, con il grande Tempio che domina sugli edifici, quasi garanzia della saldezza della fede verso il Dio d'Israele. Le propaggini della città si estendono dietro la collina: il popolo è numeroso e crede di essere benedetto dal Signore, che lo ha scelto come "sua eredità".
Eppure Le tenebre avvolgono Gerusalemme e nubi dense gravano su di essa, nonostante siano le tre del pomeriggio. Alcuni bagliori si mostrano all'estremo orizzonte, come segni dell'evento drammatico che si sta consumando su un'altura al di fuori delle mura.

A rivelare il luogo è il cranio posto in primo piano, in basso: quella collina è il "Luogo del cranio", il Golgota, e il suo suolo è il terreno nel quale è piantata la Croce sulla quale è confitto Colui che aveva osato acconsentire di fronte alla domanda del sommo sacerdote: "Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?" (Mc 14, 61).
La Croce è isolata, al centro dello spazio rappresentativo: non ci sono i ladroni, sono assenti i soldati; non ci sono la Madre, Maddalena, Giovanni. Colui che è inchiodato ad essa occupa il primo piano, offrendosi alla contemplazione commossa del fedele.
Se il braccio verticale della Croce occupa tutta l'altezza del quadro, le braccia aperte di Cristo si estendono per tutta la larghezza.
Il Corpo di Gesù é letteralmente appeso alla Croce: le mani aderiscono al legno attraverso due chiodi conficcati nelle palme, mentre le braccia si piegano sotto il peso del busto, costringendo il bacino a compiere una leggera torsione verso sinistra. I piedi sono sovrapposti e aderiscono al legno attraverso un unico chiodo, che costringe la gamba sinistra a piegarsi in modo innaturale.
Eppure quel corpo non mostra i segni delle atroci sofferenze subite, prima e dopo la crocifissione: non ha le piaghe brucianti causate dai flagelli; non i lividi delle cadute durante la salita al Golgota; non le tracce di sangue che sgorga abbondantemente dalle mani e dai piedi; non mostra neppure la ferita al costato provocato dalla lancia del centurione. Il capo porta ancora la corona di spine intrecciata per scherno dai soldati e posta a stretto contatto con l'iscrizione voluta da Pilato, quel Titulus crucis che recita “Gesù nazareno, Re dei giudei".
Solo quella corona provoca lo stillare di alcune gocce di sangue che cadono alla base del collo. Possiamo vedere in questo particolare un accenno alla vera essenza della regalità di Cristo: Egli è Un re che dà la vita!
Il corpo di Cristo è nella luce, anzi è la fonte luminosa che illumina la Croce stessa e che sembra investire l'osservatore. È questo il principale effetto voluto dall'artista: mostrare un Crocifisso sofferente e, nello stesso tempo, glorioso.
Da dove proviene la gloria: potremmo chiederci? È possibile ottenere la risposta solo soffermandosi sul Volto, bellissimo nonostante la sofferenza impressa nei tratti. Cristo ha gli occhi rivolti al cielo e la bocca aperta: si sta consegnando totalmente al Padre, proprio mentre sta donando la vita per la salvezza degli uomini. È la logica paradossale di un Dio che spoglia se stesso fino alla morte di Croce.
Il sacrificio di Cristo sconfigge la morte e apre per ogni uomo un orizzonte di salvezza e di vita: a questo allude l'ampio squarcio luminoso che irrompe dall'alto, a destra. L’oscurità del peccato si squarcia e dilaga la luce dell'amore di Dio, che si riversa su tutti gli uomini. E così quel teschio assume un significato nuovo: significativamente è rivolto alla Croce dal momento che rappresenta l'umanità ferita dal peccato e dalla morte. Ora La morte non ha più potere sull'uomo, che è stato redento.

L'opera, nella sua apparente semplicità, è straordinariamente ricca di significati e di suggestioni. Guido Reni (1575-1642), esponente di spicco del classicismo barocco, è in grado di conferire realismo alla rappresentazione senza tuttavia perdere di vista la ricerca dell’armonia e dell’equilibrio.
Una struggente bellezza caratterizza il volto di Cristo, nel momento del suo sacrificio redentore. Come tipico del suo stile, l’artista usa sapientemente le suggestioni luminose per distinguere i piani e modellare gli elementi nello spazio.
Notevole è la sua capacità di conferire luminosità al corpo di Cristo così da suscitare nel fedele la consapevolezza di sentirsi attratti dal Crocifisso e dalla sua azione salvifica.
Domenico Vescia