Sotto la loggia settecentesca, il racconto della fondazione della Basilica
In occasione del Giubileo del 1750, l’architetto Ferdinando Fuga, su incarico di papa Benedetto XIV, realizza la scenografica nuova facciata della Basilica di Santa Maria Maggiore.
L'idea è originale: un portico e una loggia destinati a proteggere gli straordinari mosaici trecenteschi della facciata antica, di cui lo stesso Fuga aveva da poco curato il restauro. Erano stati voluti da Niccolò IV, papa dal 1288 al 1292, che aveva voluto procedere al restauro e all'ampliamento della Basilica anche con l'appoggio del cardinale Giacomo Colonna che aveva proseguito i lavori anche dopo la morte del Papa, fino a quando non era stato bloccato da Bonifacio VIII, nemico della famiglia Colonna.
L'artista prescelto dagli stesi Colonna era stato Filippo Rusuti, allievo di Jacopo Torriti, autore dei mosaici dell'abside della Basilica. A dispetto delle scarsissime notizie biografiche, Rusuti era, insieme al già citato Torriti e a Pietro Cavallini, l'esponente di spicco dell'arte romana a cavallo tra '200 e '300.
La realizzazione del mosaico della facciata avviene tra il 1294 - 1308.

L'opera si sviluppa su due registri distinti: la parte superiore è certamente di mano di Filippo Rusuti e viene realizzata prima del 1297, anno in cui i Colonna, committenti dell'opera, vengono messi al bando da Bonifacio VIII; la parte inferiore invece presenta differenze di stile che fanno pensare al concorso di altri artisti. L’opera viene comunque portata a termine tra il 1306 e il 1308, dopo la riabilitazione dei Colonna.

Disegno della parte superiore dei mosaici della facciata

Disegno della parte inferiore dei mosaici della facciata
Al centro della parte superiore un grande clipeo fa da sfondo alla figura di Cristo. Tale clipeo presenta un bordo a fasce concentriche utili a trasmettere l'idea della profondità, particolare accentuato anche dalla tonalità più chiara rispetto all'interno. Il fondo è di colore blu intenso, costellato di stelle dorate. Si tratta di un'allusione all'eternità, la dimensione di Cristo vero Dio, "generato dal Padre prima di tutti i secoli". Il trono su cui siede il Figlio di Dio non è racchiuso dal clipeo, ma emerge da esso, come evidenziato dalla base del trono stesso e dal suppedaneo. In questo modo risulta evidente la verità proclamata dal versetto 4 del primo capitolo dell'Apocalisse che definisce Cristo, "Colui che è, che era e che viene".
Egli siede su un ampio trono gemmato, riccamente decorato a motivi geometrici secondo la classica iconografia di origine bizantina e poggia i piedi sul suppedaneo, come un imperatore, mostrandosi come il Re dell'Universo, Signore del tempo e della storia.
Sopra la tunica indossa un ampio mantello color porpora, tonalità che allude sia alla natura umana - come vuole l'iconografia occidentale - sia alla regalità. Il tessuto è intrecciata a fili d'oro, il colore della divinità. In tal modo l'immagine presenta la duplice natura di Cristo, vero Dio e vero uomo.
La mano destra si alza nel gesto dell'adlocutio, veicolando più significati. Innanzitutto tale gesto indica che Egli sta parlando con la più grande autorità; inoltre si sta rivolgendo al fedele, pronunciando su di lui parole di benedizione. Infine sta dichiarando l'essenza della sua persona: con le tre dita alzate sta proclamando la sua appartenenza alla Trinità, con l'anulare e il mignolo appaiati sta mostrando le sue nature, umana e divina, unite nella sua unica persona.
Con la sinistra, Cristo tiene un libro aperto su cui si legge “Ego sum lux mundi” (Io sono la luce del mondo).
Sotto i suoi piedi, sulla cornice del clipeo, l'autore ha posto la sua firma: si legge infatti "Philippo Rusuti fecit hoc opus".
Attorno al tondo si trovano quattro angeli: i due collocati in alto sono intenti ad incensare Cristo, facendo oscillare i turiboli che portano in mano e alzando il palmo dell'altra mano come per invitare l'osservatore, verso cui dirigono lo sguardo, a porsi in atteggiamento di adorazione. I due angeli rappresentati nella parte inferiore del clipeo portano invece due candelieri, con i quali onorano Cristo, a cui rivolgono il viso, rispondendo a quanto scritto nel libro, dal momento che lo proclamano "luce del mondo".
Ciò che era raffigurato ai lati del clipeo è stato parzialmente coperto dagli interventi settecenteschi di Ferdinando Fuga e, in particolare, dagli archi che sostengono la loggia addossata al mosaico.
Alla sinistra dell'osservatore si distinguono La Vergine, con tunica rossa e mantello blu, mentre porta la mano al petto e china leggermente il capo, in segno di venerazione verso il suo stesso Figlio; San Paolo che con la sinistra regge la spada, suo attributo iconografico, e con la destra mostra un cartiglio con la citazione dal primo capitolo della lettera ai Filippesi "Mihi vivere Christus - Per me vivere è Cristo" e, infine, San Giacomo Maggiore con il bastone, simbolo del suo pellegrinare, e il rotolo, ad indicare il Vangelo che ha predicato, ma anche la sua Lettera presente nel canone del Nuovo Testamento.
All’estremità si trova la figura di San Girolamo, oggi non più visibile, le cui reliquie sono conservate in Basilica.
Alla destra dell'osservatore si trova la raffigurazione di altri quattro Santi. Vicino al clipeo è rappresentato San Giovanni Battista, per buona parte coperto. Accanto a lui, San Pietro, che stende la sua mano verso Cristo dichiarando la sua volontà di seguirlo e, con la sinistra regge il cartiglio con la scritta: "Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16). Accanto a lui suo fratello Andrea che, significativamente, si rivolge all'osservatore per mostrargli ciò che è scritto sul cartiglio che, con entrambe le mani, sta dispiegando. Si tratta delle parole che egli stesso ha rivolto al fratello Pietro, dopo aver incontrato Gesù: "Ho trovato il Messia". Da ultimo è raffigurato san Mattia apostolo, del quale in Basilica si venerano le reliquie.
Al di sopra delle figure si trovano i simboli degli evangelisti, anch’essi parzialmente coperti. Da sinistra, il leone per San Marco, l'aquila per San Giovanni, l'angelo (o viso d'uomo) per San Matteo e il bue per San Luca.
La parte inferiore del mosaico propone, attraverso quattro riquadri successivi, il Racconto della fondazione della Basilica.
È la Notte del 5 agosto del 352 e, Sul colle Esquilino, avviene un evento prodigioso: Un’intensa nevicata stende un manto bianco su un’ampia porzione di terreno. La Vergine Maria appare in sogno ad un patrizio di nome Giovanni e alla moglie e comunica loro il suo desiderio che sul colle sia eretta una chiesa in suo onore. Indica anche il luogo preciso su cui tale tempio deve sorgere: quello in cui, al mattino seguente avrebbero trovato la neve.
Pieno di zelo e di devozione, la mattina seguente Giovanni si reca da papa Liberio e gli rivela il sogno. In quel momento Liberio è fortemente stupito: il pontefice gli rivela di aver avuto il medesimo sogna. Subito, conducendo con sé il patrizio Giovanni, Liberio si reca sull’Esquilino e, con una zappa, traccia, sulla neve ancora intatta, il perimetro della chiesa che dovrà sorgere e che sarà edificata a spese di Giovanni e della moglie come essi, da tempo, desideravano.
Il primo pannello, a sinistra, mostra un ambiente aperto verso l’esterno, una sorta di loggiato, delimitato sul fondo da un ricco panneggio e sovrastato da una torretta merlata. All’interno dorme papa Liberio, coricato su una ricca coperta decorata con motivi geometrici e assistito da un dignitario che, ai piedi del letto, veglia e prega. La Vergine Maria, interamente vestita di azzurro, con il Bambino rivestito di un ampio mantello rosso, si mostra al di sopra della stanza, accompagnata da una cortina di nubi, simbolo della manifestazione celeste, e all’interno di un clipeo a fondo dorato, sorretto da quattro angeli. Il suo sguardo è rivolto verso il basso; con la destra si rivolge in sogno al pontefice, manifestandogli il suo desiderio. Lo stesso gesto è compiuto dal Bambino che conferma in questo modo il desiderio della Madre.
Nella scena seguente, Maria con il Bambino appare, nella stessa notte, al patrizio Giovanni, coricato all’interno della propria abitazione, una stanza aperta all’esterno e munita anch’essa di torre, come nel riquadro precedente. Giovanni è illuminato da un raggio che, partendo dalla Vergine, raggiunge il suo orecchio. Ai piedi del letto si trova una donna, una persona di servizio o forse la moglie. Un altro personaggio si affaccia da destra e scosta le tende dell’alcova.
L’immagine di Maria rivela la sua dignità di Madre di Dio, come indicano le lettere che affiancano il suo capo: a sinistra la M greca, abbreviazione di Meter – Madre, e a destra la T (theta) associata alla Y, abbreviazione di Theou – “di Dio”.
Alla destra del rosone si trova il terzo pannello, che mostra il patrizio Giovanni inginocchiato davanti a papa Liberio seduto sul faldistorio e rivestito dei paramenti pontificali. L’ambiente è solenne, allusione al Palazzo del Laterano e, nello stesso tempo, alla Basilica di San Giovanni, cattedrale di Roma. Il papa alza la destra nel gesto dell’adlocutio: sta parlando a Giovanni rivelandogli di aver fatto lo stesso sogno.
L’ultimo riquadro mostra, in alto, un clipeo che ospita le immagini di Cristo Salvatore e della Vergine, mentre fanno cadere la neve sul colle Esquilino. In basso, il Papa, seguito da uno stuolo di vescovi, di donne e accompagnato dallo stesso Giovanni, si china a tracciare il perimetro della basilica, sulla base dell’area ricoperta dalla nevicata miracolosa. Sullo sfondo si trovano piante verdi, utili a sottolineare come la neve sia caduta solo in un preciso punto del colle e in piena estate. Sulla base di questo episodio, alla Basilica vengono assegnati i titoli di Liberiana e di Santa Maria della Neve.
Domenico Vescia