
Il fiorentino Alessandro Filipepi, detto Botticelli ricevette l’incarico di collaborare alla decorazione delle pareti laterali della Cappella Sistina il 27 ottobre 1481. Il contratto, stipulato da Giovanni de’ Dolci, supervisore dei Palazzi Vaticani, aveva impegnato altri artisti del calibro di Pietro Perugino, del Ghirlandaio, di Cosimo Rosselli: personalità di altissimo spessore che avrebbero trasformato la Cappella nel capolavoro indiscusso del Rinascimento.
Il programma decorativo delle pareti, al di sopra della fascia decorata con finti drappi, prevedeva la realizzazione di ampi riquadri con le Storie di Mosè, posti di fronte e in stretta relazione con le Storie di Cristo per sottolineare come, nell’economia della salvezza, il Vecchio Testamento sia in continuità con il Nuovo.
Il secondo episodio della parete di sinistra, opera dello stesso Botticelli, ha il titolo di Episodi della vita di Mosè e raffigura alcune prove che il liberatore e il legislatore di Israele dovette affrontare.
Il parallelo, sulla parete destra, è costituito da Le tentazioni di Cristo e fu dipinto nel 1482.
La scena è divisa in tre parti, dedicate alle tre tentazioni subite da Cristo, secondo la narrazione dell’evangelista Matteo.
In alto a sinistra, sullo sfondo di una foresta intricata e oscura, metafora dello smarrimento, è ritratto Gesù con una vistosa tunica rosa sopra la quale si dipana un manto azzurro con bordura dorata. Cristo proviene da un sentiero che esce dalla foresta, a significare che Egli è al termine del suo digiuno. Lo aveva iniziato quaranta giorni prima, come mostra il suo ingresso nella selva, raffigurato sul lato sinistro dell’opera, dove è ritratto il Figlio di Dio, accompagnato dagli angeli.
È stremato dalla fame. Davanti a lui si trovano alcune pietre, chiaramente visibili grazie al loro colore chiaro e, accanto ad esse, una fonte. Gli si presenta il diavolo, nei panni di un monaco eremita che incede appoggiato al bastone che regge con la mano sinistra. Nella stessa mano, il tentatore esibisce addirittura uno strumento di penitenza. La sua vera identità è tuttavia tradita da due particolari: tra le sue spalle spuntano due ali di pipistrello, simbolo della notte e dell’oscurità del peccato, e due zampe di gallina prendono il posto dei piedi. Si rivolge direttamente a Cristo, lo guarda in viso, lo sfida, e. con la destra, gli indica le pietre, dicendogli: «Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane». Gesù gli risponde, come mostra la sua mano destra, impegnata nel gesto dell’adlocutio: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio"». (Mt 4, 4).
La seconda tentazione è raffigurata sempre in alto, nel centro esatto dello spazio rappresentativo. Lo stesso demonio, ben riconoscibile dalle zampe di gallina e dall’abbigliamento da eremita, ha condotto Gesù sul pinnacolo del tempio di Gerusalemme e lo invita a lanciarsi in basso, come indica chiaramente la sua mano destra: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo / ed essi ti porteranno sulle loro mani / perché il tuo piede non inciampi in una pietra» (Mt 4, 6). Gesù si porta la mano al petto per dimostrare la sua saldezza morale e replica: «Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo» (Mt 4, 7).
L’ultima tentazione è raffigurata sul lato opposto, in alto a destra. La scena si svolge sul “monte altissimo” di cui parla il Vangelo, quello dal quale il diavolo mostra a Gesù “tutti i regni del mondo e la loro gloria”, dicendogli: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». (Mt 4, 9). Ciò che il pittore rappresenta è ciò che avviene in seguito alla replica di Cristo: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (Mt 4, 10). Il centro focale di questa porzione di riquadro è il braccio alzato di Cristo. È il gesto imperioso di chi comanda con autorità, tanto più che quella di Gesù è l’autorità di Dio. In questo momento il diavolo cambia di aspetto, il suo corpo si fa totalmente mostruoso e precipita, come era già avvenuto dopo la sua ribellione. Da destra appaiono tre angeli che servono Gesù, imbandendo per lui una tavola e ponendo così fine al suo digiuno durato quaranta giorni.
Il resto dell’opera è costituito da un gran numero di personaggi, alcuni in funzione celebrativa, altri da interpretare in chiave allegorica.
Al centro della composizione la raffigurazione del Tempio di Gerusalemme è, in realtà, la facciata dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia che sorge sulla sponda destra del Tevere, nei pressi del Vaticano. Si tratta di uno dei più antichi ospedali d’Europa, sorto nel 727 d.C., come luogo di ricovero per i Sassoni in pellegrinaggio alla tomba di Pietro. Fu ristrutturato da Papa Sisto IV a partire dal 1471, undici anni prima della realizzazione dell’affresco, tanto che si può ipotizzare che l’artista abbia voluto inserire la facciata dell’edificio come omaggio al Pontefice e alla sua opera.
Davanti al tempio si erge, imponente e bianco, l’altare per il sacrificio ebraico, dentro il quale arde il fuoco per l’olocausto. Davanti ad esso, sulla sinistra si trova un sacerdote rivestito di un prezioso parato blu e oro, con la capigliatura lunga e canuta e con un copricapo che fa pensare alla mitria vescovile. Sta porgendo dei rotoli ad un giovane vestito di bianco, sopraggiunto da destra. Egli guarda il sacerdote e protende le mani per accogliere ciò che gli viene offerto. La sua figura può essere identificata con Cristo stesso, sulla base dell’iscrizione che sovrasta il riquadro: “Temptatio Jesu Christi Latoris Evangelicae Legis” (Tentazione di Gesù Cristo, colui che porta la legge evangelica). Il sacerdote rappresenta così l’Antico Testamento che consegna la legge antica perché Cristo la rinnovi con la sua Parola.
Nella metà destra del riquadro si osserva, sullo sfondo, uno splendido paesaggio lacustre delimitato dal dolce profilo di una montagna davanti alla quale si staglia una città i cui edifici sembrano protendersi nell’acqua. Le due querce alla destra del tempio alludono al casato di Papa Sisto IV, committente dell’opera ed effigiato nel viso del sacerdote in primo piano. Quercia, in latino, è robur, da cui il sostantivo rovere: Della Rovere, infatti, è la famiglia a cui appartiene Sisto IV, ma anche il cardinale ritratto in basso: Giuliano Della Rovere, il futuro Giulio II, che sarà il committente della volta michelangiolesca della stessa Cappella Sistina.
La fanciulla con la fascina, accompagnata da un putto con grappolo d’uva, a destra del cardinale, fa pensare alla Primavera dello stesso Botticelli. Alle sue spalle sono ritratti alcuni dignitari in eleganti abiti rinascimentali; essi vanno posti in relazione con le figure poste sulla sinistra: alcuni giovani alle spalle del sacerdote, due ragazze bionde, un fanciullo e tre uomini impegnati in un’accesa discussione. Si tratta di personaggi profani che poco hanno a che vedere con il soggetto sacro. La loro presenza va compresa nel contesto della cultura rinascimentale.
Poco più di sessant’anni dopo, nel 1545, sarà aperto il Concilio di Trento che purificherà l’arte sacra dalle intromissioni profane per assegnarle il compito di insegnare e suscitare la devozione dei fedeli.
Domenico Vescia