La sommità dell'Arco trionfale della Basilica di Santa Maria Maggiore, voluto da Papa Sisto III e realizzato tra il 432 - 440 per celebrare la divinità di Cristo solennemente definita nel Concilio di Efeso, è occupata da un clipeo a disco dentro al quale è rappresentato un trono gemmato sormontato da una croce.

Il clipeo è realizzato con tessere azzurre che diventano via via più chiare, fino a terminare in un contorno bianco finalizzato a dare profondità alla forma. La scelta dell'azzurro ha lo scopo di isolare la rappresentazione dal contesto, per calarla in una dimensione ultraterrena, aperta al futuro, riferita a ciò che accadrà.
La maggior parte dello spazio rappresentativo è occupata dall'ampio trono gemmato, decorato a riquadri definiti da pietre preziose. Sul sedile del trono si trova un cuscino cilindrico che occupa il perimetro della seduta e si apre sul davanti, formando due braccioli.
Sul trono si erge una croce latina gemmata. Si tratta di una modalità rappresentativa che ha i suoi esordi proprio nel V secolo, in un'epoca in cui la sensibilità dei cristiani non osava rappresentare realisticamente la croce come patibulum, terribile strumento di tortura e di morte per coloro che si rendevano responsabili di crimini considerati gravissimi. La croce era servile supplicium, legno della vergogna, degno degli schiavi.
La croce gemmata è invece segno di vittoria che proclama la Risurrezione e annuncia il ritorno glorioso di Cristo. Ciò che essa rappresenta riguarda il mistero di Colui che dona la vita per la redenzione degli uomini ma risorge il terzo giorno e, vivo e glorioso, è presente nella sua Chiesa.
La croce gemmata ha la sua base dentro una corona di pietre preziose, un diadema imperiale, come quello indossato dagli imperatori dopo Costantino. L'oggetto è circondato da una sorta di fascia bianca con bordi di colore blu, che termina da entrambi i lati con una lettera C. In questo modo l'ignoto artista rappresenta la regalità universale di Cristo, fonte e ragione di ogni regalità terrena.
Sul suppedaneo del trono si trova un rotolo chiuso da sette sigilli. Si tratta di un riferimento a quanto scritto nel capitolo V del Libro dell'Apocalisse: "E vidi, nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: "Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?". (Ap 5, 1-2) Solo l'Agnello di Dio, cioè Cristo, può aprire quel libro.
Il trono è affiancato dai principi degli apostoli. A sinistra si trova Pietro, con una capigliatura candida e con un giro di barba che gli contorna il volto. Indossa una tunica sormontata da un ampio pallium, sul quale si mostra la lettera gamma, terza lettera dell’alfabeto greco che, nel linguaggio delle gammadiae antiche, rappresenta la Trinità. L'apostolo porta nella mano sinistra un libro aperto e, con la destra, indica il trono. In posizione simmetrica si trova Paolo con i tratti somatico che dal V secolo in poi gli saranno attribuiti: capo stempiato e barba scura terminante a punta, sul mento. Anch'egli indica il trono e, con la sinistra, regge un libro aperto.
Al di sopra si trovano i quattro animali dell'Apocalisse, simbolo dei quattro evangelisti: da sinistra il bue per l'evangelista Luca, l'angelo - o viso d’uomo - per Matteo, il leone ad indicare Marco e l'aquila riferimento a Giovanni.
Il richiamo ai Vangeli, ma anche alle due lettere di Pietro e a quelle di Paolo, significate dai libri aperti che entrambi gli apostoli portano in mano ci dice che norma della fede è la rivelazione di Cristo contenuta nel Nuovo Testamento.
Tutto afferma che quello è il trono di Cristo, vero Dio e vero Uomo, come ha solennemente definito il Concilio di Efeso; Egli è il Verbo di Dio a cui spetta il trono della vera sovranità.
La rappresentazione ha il nome di Etimasìa, nome greco che deriva dal verbo etoimazo che indica l'azione di chi prepara qualcosa in vista di qualcuno che sta per giungere.
Il trono è pronto per Cristo, incarnato nella storia, crocifisso, risorto e asceso al cielo, che ritornerà alla fine dei tempi.
Domenico Vescia