
L’Arco trionfale della Basilica di S. Maria Maggiore, splendida opera voluta da Papa Sisto III e realizzata tra il 432 e il 440, esprime lo stupore dei cristiani di fronte al mistero dell'Incarnazione. Siamo all’indomani del Concilio di Efeso che, nel 431, aveva proclamato Maria Madre di Dio: l’opera recepisce tale dogma e lo rappresenta in modo sublime.
Nell’episodio della Presentazione di Gesù al tempio, collocato nella parte destra del primo registro, è raffigurato il momento in cui viene rivelata la divinità di Cristo e, contemporaneamente, la divina maternità di Maria al popolo ebraico.
Su uno sfondo porticato, che rappresenta il cortile del Tempio di Gerusalemme, si muovono numerosi personaggi. Innanzitutto Maria, presentata di tre quarti e raffigurata con lo stesso abbigliamento della scena precedente, quella dell’Annunciazione. Sopra la tunica, indossa il maniakon, una sopravveste decorata con pietre preziose, e il loron, una lunga sciarpa dorata ad indicare la sua altissima dignità. Con la mano destra porta il Bambino che, tuttavia, non rivolge verso di sé, ma offre all’adorazione delle persone che gli stanno andando incontro.
Tre angeli circondano la Santa Famiglia e quasi la isolano dal resto dei personaggi. Si tratta di un accorgimento per mostrare al fedele come quel Bambino abbia natura divina e sia una delle persone della Santissima Trinità.
Con la mano sinistra Maria sta facendo il gesto dell’adlocutio, ad indicare che sta parlando: si sta rivolgendo al vecchio Simeone, “uomo giusto e timorato di Dio” a cui “lo Spirito Santo aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore” (Lc 2, 26). Maria gli sta presentando il Messia d’Israele ed egli si inchina, cercando di prenderlo tra le sue braccia. Tuttavia non protende le mani nude, ma le copre con un panno, in segno di rispetto verso la persona divina che sta accogliendo. Significativamente il panno che Simeone tiene tra le mani porta impressa la lettera gamma che, nel linguaggio cristiano antico delle gammadiae, allude alla Trinità.
La bocca del vecchio Simeone è aperta; sta pronunciando le parole che il Vangelo di Luca gli attribuisce: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo / vada in pace secondo la tua parola, / perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti / e gloria del tuo popolo, Israele.
Alla destra di Simeone si trova la profetessa Anna che, giunta in quel momento, “si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”. (Lc 2, 38). In mezzo sta Giuseppe, vestito in abiti romani, come nella rappresentazione precedente. Ha il corpo rivolto verso Simeone ed Anna a cui sta porgendo una coppia di tortore per il riscatto del Figlio primogenito, come prescriveva la legge di Israele. Significativamente volge il capo verso la Madre con il Bambino, quasi ad interrogarla sul senso delle parole di Simeone. Lo stesso gesto compie l’angelo alla sinistra di Giuseppe: sta confermando che il piccolo Gesù è il Messia atteso da Israele.
Alle spalle di Simeone si trovano dodici sacerdoti che rappresentano l’incredulità. Alcuni indossano mantelli, altri semplici toghe. Compiono gesti con le mani, ma ciò che va osservata è la loro espressione perplessa, interrogativa e certamente diffidente. Qualcuno di essi indica il tempio che si presenta con il velo aperto. È il drappo che separa la stanza riservata ai sacerdoti dal Santo dei Santi, il luogo della presenza di Dio. Quel Bambino può entrare a pieno titolo perché Egli è vero Uomo e vero Dio.
Davanti al tempio stanno una coppia di colombe e una di tortore, gli animali per il riscatto dei primogeniti offerti dalle famiglie povere.
All’estrema destra della rappresentazione si trova Giuseppe dormiente e un angelo che si sta rivolgendo a lui in sogno, chiedendogli di prendere il Bambino e sua Madre e di portarli in Egitto, al sicuro da Erode.
Domenico Vescia