
Il pellegrino che varca il portale della Basilica di Santa Maria Maggiore, sull'Esquilino, si trova di fronte ad un imponente arco trionfale, alto nove metri ed esteso per una lunghezza di sedici.
Era così anche nell’antica Basilica, realizzata da papa Sisto III tra il 432 e il 440.
La decorazione è opera di maestranze romane che prendono a prestito le tecniche raggiunte dai grandi artisti dell’età imperiale, per adattarle alla sensibilità e alle finalità dell'arte cristiana. Vede la luce così un'opera splendida e commuovente, capace di esprimere lo stupore dei credenti di fronte al mistero dell'Incarnazione. Come non rimanere commossi e meravigliati di fronte ad un Dio che ama a tal punto gli uomini da rivestire la loro stessa carne? È la realtà della kenosi di Dio: Egli si è abbassato, si è addirittura svuotato e, per entrare in relazione con gli uomini, ha assunto la loro stessa carne. L’Arco Trionfale di Santa Maria Maggiore esprime questa sublime verità attraverso otto immagini impostate su quattro registri; il loro scopo è raccontare al fedele ciò che affermano le Scritture.
La prima immagine in alto, a sinistra, rappresenta l’evento dell’Annunciazione.
I personaggi sono posti all’interno di una scena delimitata da un fondale e da due abitazioni poste all’estremo dello spazio rappresentativo. A sinistra la casa di Maria, a destra quella di Giuseppe: essi infatti non abitano insieme, dato che – secondo il testo evangelico - la Vergine che si chiama Maria è “promessa sposa”. Nella parte superiore lo sfondo è costituito da un cielo azzurro intenso su cui si stagliano numerose nubi, che alludono alla presenza di Dio e al suo agire nella storia della salvezza.
La casa di sinistra, quella in cui abita Maria, si presenta con le porte chiuse. Questo particolare racchiude una triplice allusione: innanzitutto richiama il fatto che Ella vive una vita nascosta, tutta dedita alla meditazione della parola di Dio; in secondo luogo allude al fatto che Ella è la benedetta tra tutte le donne; infine ricorda la sua verginità al momento dell’Annunciazione, ma anche durante e dopo il parto.
Accanto alla sua casa sta la protagonista della scena, la “chiave di lettura” di tutto il ciclo iconografico dell’arco trionfale: Maria. È seduta sul trono ed è abbigliata come una basilissa, l’imperatrice bizantina; come lei appoggia i piedi su un suppedaneo e porta sul capo un ricco diadema, unito a gioielli di diverso tipo. Sopra la tunica, indossa il maniakon, una sorta di sopravveste decorata con pietre preziose e il loron, una lunga sciarpa ricamata. Tutto l’abbigliamento è dorato, allusione al fatto che Ella è chiamata ad ospitare il Figlio di Dio nel suo grembo. Questa è la sua grandezza, questa la sua nobiltà!
Sopra il suo capo si libra l’Arcangelo Gabriele, vestito con una candida tunica decorata da laticlavi. Si rivolge direttamente a Maria, le sta indicando lo Spirito Santo che sta scendendo su di Lei. La colomba, infatti, figura dello Spirito Santo, si dirige verso il suo grembo.
Il gesto che Maria compie è il vero centro tematico della rappresentazione: Ella tiene il fuso sotto il braccio destro e sta svolgendo la matassa di filo color porpora – simbolo del sangue e quindi della carne – attingendolo dal capiente cesto che si trova per terra, alla sua destra. Sta tessendo la carne del Figlio di Dio nel suo grembo.
Secondo un’altra interpretazione, desunta dai vangeli apocrifi, il filo rosso è allusione al fatto che Ella aveva ricevuto dai sacerdoti il compito di tessere il velo del tempio, segno della presenza di Dio. È lo stesso velo che sarà lacerato al momento della morte di Cristo Crocifisso.
Tre angeli circondano Maria e le stanno parlando, come indica il gesto dell’adlocutio che ciascuno di loro sta compiendo. Si tratta della rappresentazione delle tre persone della Trinità, come indica la lettera C, trascrizione latina della gamma greca: è una gammadia, monogramma che appartiene al linguaggio cristiano antico. La gamma, terza lettera dell’alfabeto greco, rappresenta appunto il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e, in questo contesto, mostra come nel mistero dell’incarnazione operino le tre divine persone.
Sulla destra, accanto alla sua casa, si trova Giuseppe, con sembianze giovanili; indossa una corta tunica e, sulla spalla sinistra, un mantello giallo scuro, allusione alla sua appartenenza al popolo ebraico. Un angelo si sta rivolgendo a lui, chiedendogli di non avere timore a prendere con sé la Madre e il Bambino.
Un ultimo angelo è rappresentato in posizione frontale e si rivolge direttamente all’osservatore: con il gesto dell’adlocutio gli parla, come ad invitarlo a contemplare il grande mistero dell’Incarnazione.
Domenico Vescia