È una figura estremamente dinamica, quella del profeta Daniele, affrescato da Michelangelo tra il 1511 e il 1512 sulla Volta della Cappella Sistina, in Vaticano.
La sua energia è comunicata attraverso la resa di alcuni dettagli anatomici: i piedi poderosi, le caviglie vigorose, le braccia robuste e muscolose, le mani contratte. Arretra il piede destro perché il suo busto sta compiendo una torsione verso un oggetto seminascosto. Oltretutto si sta chinando, sempre verso destra, come testimonia anche la linea delle spalle. La parte sinistra del busto è avanzata perché sulla gamba appoggia un grande libro, che può reggere grazie allo sforzo di un putto che, facendo forza sulle gambe, inarca la schiena per appoggiarvi il volume e, con una posa innaturale, protende il braccio destro e piega la mano, come per aiutare il Profeta a tenere il segno della pagina che sta consultando.
A sottolineare lo sforzo, ma anche le particolarità delle pose del putto e del profeta stesso, sono le quattro figure a chiaroscuro affrescate sui plinti che delimitano lo scranno su cui siede il profeta.
Cosa sta facendo Daniele? Sta scrivendo su un foglio che si trova adagiato su uno scrittoio ligneo a sinistra, sotto il quale si trova un rotolo, a cui forse appartiene lo stesso foglio su cui il profeta sta lavorando. Dalla parte posteriore del leggio pende uno strano oggetto, certamente un calamaio.
È interessante fermare lo sguardo sul viso di Daniele. Ha tratti giovanili e presenta lineamenti delicati. La capigliatura, chiara e particolarmente abbondante, è mossa da un vento vigoroso, ad indicare l’ispirazione profetica causata dal soffio dello Spirito. Gli occhi sono socchiusi e le ciglia piuttosto aggrottate per evidenziare lo sforzo di concentrazione da parte del profeta.
Nella Bibbia, Daniele – il cui nome significa “Dio giudica” – è descritto come uomo saggio, dotato di grande intelligenza e della capacità di interpretare sogni e visioni.
Nella prima parte del suo Libro, egli è presentato come un eroe che, durante l’esilio degli israeliti a Babilonia, riesce a giungere alla corte del re Nabucodonosor e a guadagnarne la stima, grazie alla quale potrà difendere i suoi connazionali ebrei. Nella seconda parte, invece, Daniele riceve visioni e partecipa a prodigi che mettono in evidenza come Dio non voglia in nessun modo il male e desideri aiutare gli uomini che lo combattono; egli manderà finalmente il “Figlio dell’uomo” come salvatore.
In base a queste considerazioni possiamo tentare di interpretare ciò che Daniele sta facendo. Sta consultano un libro che contiene la narrazione dei fatti accaduti e dei prodigi che si sono verificati e, dopo averli interpretati, sta scrivendo il senso che essi rivestono. Egli, stimato addirittura dal re oppressore Nabucodonosor per la sua intelligenza e la sua sapienza, vuole comprendere ciò che Dio rivela in vista della liberazione e della salvezza degli israeliti, ma anche – e soprattutto – ciò che il Signore si prepara a fare per la salvezza di ogni uomo.
A tutto questo alludono anche i colori delle vesti che Daniele indossa, mai casuali negli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina. La tunica del profeta è giocata sulle tonalità dell’azzurro, ad indicare la sua capacità di vedere e interpretare le realtà celesti. Il mantello è di un delicato colore violetto, richiamo alla penitenza; esso, nel risvolto, si mostra giallo, il colore che, nell’iconografia della Sistina, è un riferimento al peccato, quello del popolo di Israele che si è allontanato da Dio. Sotto la tunica si notano una sorta di fodera bianca e lo scollo giallo chiaro.
Anche Daniele, come gli altri profeti della volta, è accompagnato da due figure che richiamano le facoltà dell’anima, secondo l’interpretazione dello studioso gesuita Heinrich Pfeiffer. Il putto che regge il libro rappresenta la volontà, il profeta l’intelletto e il bambino che si trova alle spalle, coperto sul capo dello stesso mantello che avvolge le spalle di Daniele. raffigura la memoria.
Sempre sul versante interpretativo può sorgere una domanda curiosa. Perché Michelangelo ha voluto mettere in primo piano il fanciullo che regge il grosso libro collocato sulle gambe di Daniele e perché ha voluto sottolineare con tanta enfasi lo sforzo che egli sta compiendo? Forse vuole farci pensare a Cristo che si è caricato del peso della Croce per la salvezza degli uomini.
Domenico Vescia