GLI OCCHI DELLA SIGNORA: LA RIVELAZIONE DI UN ANIMO DILANIATO

Monaca di Monza

Di fronte a suor Virginia de Leyva lo sguardo di Manzoni è certamente compassionevole: lungi dal mitigare la gravità delle azioni commesse e dal giustificarle, è certamente attento a mostrare le sofferenze provate da una personalità psicologicamente violentata, privata della libertà, sacrificata agli interessi familiari.

Come non provare compassione di fronte ad una vita così dilaniata? Come non pensare che, all’origine dei peccati di suor Virginia, ci sia una spasmodica – seppur pericolosa - ricerca di attenzione, di affetto, di corrispondenza?

Monaca di Monza

A questo proposito è assolutamente eloquente un passaggio della descrizione che Manzoni traccia degli occhi della Monaca, nel capitolo 9: Un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà.

L’attento osservatore è anzitutto lo scrittore che si pone davanti al suo personaggio, lo scruta e ne indaga l’animo a partire dall’unico spiraglio che gli consente di penetrarne il mistero: si tratta degli occhi, appunto, lo specchio dell’anima, come li definisce la saggezza popolare, lo specchio dell’animo, come afferma invece la sensibilità letteraria.

Gli occhi di suor Virginia spiegano le connotazioni profonde della sua personalità, la consistenza angosciosa dei suoi pensieri, le ragioni delle sue emozioni sofferte e certamente disperate.

Ecco ciò che afferma l’autore a proposito degli occhi di suor Virginia:

Due occhi, neri neri anch’essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un’investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d’un odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio d’un pensiero nascosto, d’una preoccupazione familiare all’animo, e più forte su quello che gli oggetti circostanti.

Il passo è straordinariamente eloquente e possiede un valore introspettivo eccezionale.

Talora gli occhi di suor Virginia si fissano in viso alle persone all’istintiva ricerca di una corrispondenza, di una relazione verso la quale tuttavia ella non è in grado di assicurare una disponibilità spontanea e naturale. L’attitudine è quella all’investigazione, per accertarsi delle intenzioni dell’altro. Da quante persone era stata ingannata, quante avevano tramato piani a suo danno? Non si tratta, tuttavia di un atteggiamento benevolo, sereno, disponibile: l’investigazione è superba, porta con sé la consapevolezza della propria superiorità. Del resto, è la figlia del feudatario del borgo che, oltre ad averla costretta alla vita monastica, le aveva trasmesso il senso della propria distinzione e della propria potenza, sentimenti non proprio coerenti con la vita religiosa.

Quegli stessi occhi, talora, si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio. Non esiste superbia, né arroganza capace di nascondere la verità delle azioni, soprattutto quando si tratta di progetti e atti malvagi. Consapevoli di ciò, gli occhi di suor Virginia non riescono a reggere lo sguardo dell’interlocutore e, soprattutto, non possono nascondere l’oscurità dell’animo su cui pesano le malefatte.

Le pieghe più riposte dell’animo si manifestano nei modi più diversi, talora coerenti tra loro, altre volte in aperta contraddizione e ciò a causa di un’interiorità dilaniata e sofferente, anche a causa della violenza subita. Per questo motivo lo scrittore può proseguire ad analizzare altri aspetti comunicati dagli occhi del personaggio. In certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà: una donna profondamente sola e privata dell’affetto e del calore umano fin dalla più tenera età non può soffocare a lungo il suo bisogno d’amore. Ecco quindi che gli occhi di suor Virginia rendono trasparente la sua sete di affetto, di relazioni sincere, di condivisione. Essi esprimono pietà, sono alla ricerca di quella compassione che porta l’interlocutore a condividere il dolore e ad offrire comprensione e sostegno.

Ma gli occhi non tradiscono, lo sguardo non inganna, e così l’attento osservatore, altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d’un odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce. Il male subito ha causato, nell’animo della monaca, un odio radicato e coltivato da tempo. Ella non ha mai potuto sfogare il suo rancore e, pertanto, non ha mai avuto la possibilità di liberarsene, costretta a lasciare che il suo animo si inselvatichisse progressivamente, divenendo incapace di sentimenti autenticamente umani.

L’esito più tragico riguarda l’immobilità emotiva e psicologica a cui è condannata la persona violentata nella propria volontà. Gli occhi di suor Virginia talvolta restano immobili e fissi, incapaci di esprimere i moti dell’animo, ad indicare innanzitutto una svogliatezza orgogliosa, una sorta di immobilità emotiva e spirituale tipica di chi non vuole umilmente accettare la fatica del cambiamento. In alternativa potrebbero nascondere il travaglio d’un pensiero nascosto che occupa interamente i pensieri, ma genera l’incapacità di comunicarsi e di chiedere aiuto. Infine potrebbero sottendere una preoccupazione familiare all’animo, un cumulo di pensieri angosciosi che accompagnano e logorano l’esistenza da lungo tempo.

Gli occhi torbidi di suor Virginia sono, in definitiva, la spia di un’esistenza corrotta dal male e dilaniata dalla violenza, di una vita avvolta dalle tenebre e bloccata rispetto a qualsiasi aspirazione.

Domenico Vescia