Cosa ne sai tu, Nibbio, della compassione?
Hai lasciato stupito ed esterrefatto il tuo capo, l’Innominato, quando hai pronunciato questa parola.
Tu sei il capo dei bravi di quell’uomo crudele, abituato ad ogni sorta di azione malvagia; sei la persona in cui egli ha riposto grande fiducia perché sa che condividi con lui la passione per il potere ed agisci senza nessuno scrupolo.
Ancora una volta sei stato incaricato di realizzare l’ennesima azione criminale per conto dell’Innominato: rapire Lucia. Si è trattato di un’azione delicata per la quale il tuo capo aveva dovuto chiedere la collaborazione scellerata di Egidio perché corrompesse Gertrude, la Monaca di Monza, e la convincesse a fare uscire Lucia dal monastero.
Avevi architettato un piano perfetto: la ragazza si sarebbe incamminata sulla strada che portava al convento dei padri cappuccini, un altro bravo tuo collaboratore l’avrebbe fermata fingendo di chiederle un’informazione e tu l’avresti afferrata e messa a forza nella carrozza che era partita di gran carriera.
Povera Lucia … Così Manzoni racconta il suo terribile stato d’animo dopo il rapimento.
Chi potrà ora descrivere il terrore, l’angoscia di costei, esprimere ciò che passava nel suo animo?
Spalancava gli occhi spaventati, per ansietà di conoscere la sua orribile situazione, e li richiudeva
subito, per il ribrezzo e per il terrore di que’ visacci: si storceva, ma era tenuta da tutte le parti:
raccoglieva tutte le sue forze, e dava delle stratte, per buttarsi verso lo sportello; ma due braccia
nerborute la tenevano come conficcata nel fondo della carrozza; quattro altre manacce ve
l’appuntellavano. Ogni volta che aprisse la bocca per cacciare un urlo, il fazzoletto veniva a
soffogarglielo in gola. Intanto tre bocche d’inferno, con la voce più umana che sapessero formare,
andavan ripetendo: - zitta, zitta, non abbiate paura, non vogliamo farvi male -. Dopo qualche momento
d’una lotta così angosciosa, parve che s’acquietasse; allentò le braccia, lasciò cader la testa
all’indietro, alzò a stento le palpebre, tenendo l’occhio immobile; e quegli orridi visacci che le
stavan davanti le parvero confondersi e ondeggiare insieme in un mescuglio mostruoso: le fuggì il colore
dal viso; un sudor freddo glielo coprì; s’abbandonò, e svenne.
Su quella carrozza, il Nibbio ha il suo da fare a tenere ferma Lucia. Le due braccia nerborute sono le sue, aiutate dalle quattro manacce dei due bravi che lo affiancano. Tutti e tre cercano di tenerla ferma e le impediscono di urlare, serrandole la bocca con un fazzoletto. Il loro comportamento non è per nulla rassicurante, come non lo sono i loro visacci. Tuttavia, nonostante le loro bocche d’inferno siano abituate a pronunciare minacce e a preannunciare violenze, i tre si sforzano di rassicurare Lucia. “Non abbiate paura, non vogliamo farvi male”: dicono con la voce più umana che riescono a formare.
Lucia sviene per la paura e qualcosa inizia a cambiare, soprattutto nell’atteggiamento del Nibbio.
- Su, su, coraggio, - diceva il Nibbio. - Coraggio, coraggio, - ripetevan gli altri due
birboni; ma lo
smarrimento d’ogni senso preservava in quel momento Lucia dal sentire i conforti di quelle orribili
voci.
- Diavolo! par morta, - disse uno di coloro: - se fosse morta davvero?
- Oh! morta! - disse l’altro: - è uno di quegli svenimenti che vengono alle donne. Io so che, quando ho
voluto mandare all’altro mondo qualcheduno, uomo o donna che fosse, c’è voluto altro.
- Via! - disse il Nibbio: - attenti al vostro dovere, e non andate a cercar altro. Tirate fuori dalla
cassetta i tromboni, e teneteli pronti; che in questo bosco dove s’entra ora, c’è sempre de’ birboni
annidati. Non così in mano, diavolo! riponeteli dietro le spalle, stesi: non vedete che costei è un
pulcin bagnato che basisce per nulla? Se vede armi, è capace di morir davvero. E quando sarà rinvenuta,
badate bene di non farle paura; non la toccate, se non vi fo segno; a tenerla basto io. E zitti:
lasciate parlare a me.
Il Nibbio si sforza di far coraggio a Lucia e soprattutto si preoccupa che ella non si spaventi ulteriormente. Si accorge che la carrozza sta attraversando un bosco dove si annidano de’ birboni, briganti da strada, che agiscono in forma spontanea. È qui interessante notare un accenno ironico: un bravo chiama birboni altri delinquenti come lui.
Così come si preoccupa di affrontare eventuali altri delinquenti, il Nibbio si accorge che, se Lucia vedesse delle armi, morirebbe di paura. Ordina quindi ai due compagni di evitare in tutti i modi di farle paura o di toccarla. Impedisce loro addirittura di rivolgerle la parola. Quando mai egli aveva fatto in modo di non far spaventare qualcuno? Ora, addirittura, si prepara a parlare a Lucia; implicitamente si mette a pensare alle parole più giuste per mitigare le sofferenze della giovane donna.
Dentro di lui si fa spazio la preoccupazione per un’altra persona che soffre anche a causa sua. Lui, che non si era mai curato d’altro che di assecondare i progetti spietati del suo padrone e di eseguire quanto egli di malvagio egli gli ordinava, si accorge – in modo confuso, ma percettibile – di essere la causa della sofferenza di un’altra persona e quasi se ne dispiace.
Lucia si riprende e cerca, ancora una volta, di liberarsi, buttandosi verso lo sportello della carrozza, ma viene trattenuta dal Nibbio stesso si sforza di parlare il più dolcemente che può.
Cacciò di nuovo un urlo; ma il Nibbio, alzando la manaccia col fazzoletto, - via, - le disse, più
dolcemente che poté; - state zitta, che sarà meglio per voi: non vogliamo farvi male; ma se non istate
zitta, vi faremo star noi.
- Lasciatemi andare! Chi siete voi? Dove mi conducete? Perché m’avete presa? Lasciatemi andare,
lasciatemi andare!
- Vi dico che non abbiate paura: non siete una bambina, e dovete capire che noi non vogliamo farvi male.
Non vedete che avremmo potuto ammazzarvi cento volte, se avessimo cattive intenzioni? Dunque state
quieta.
Non solo il Nibbio fa di tutto per essere dolce, ma cerca anche di essere convincente. Si direbbe che tenga proprio a tranquillizzare Lucia e a persuaderla, dimostrandole che, se lui e i suoi compagni avessero voluto farle del male, lo avrebbero già fatto.
Ad un certo punto sembra quasi volersi discolpare. Quando Lucia – sempre più agitata e angosciata – chiede il motivo del suo rapimento, il Nibbio risponde che è stato dato loro un comando. Come è logico, la rapita chiede chi sia ad aver comandato un’azione tale. Qui il Nibbio si irrigidisce:
- Zitta! - disse con un visaccio severo il Nibbio: - a noi non si fa di codeste domande.
Non si chiede il nome del mandante, secondo il rigido codice dei malviventi!
E così Lucia, in preda all’angoscia e senza risposte, non può fare altro che affidarsi “a Colui che tiene in mano il cuore degli uomini, e può, quando voglia, intenerire i più duri”.
Questa affermazione è la chiave di lettura di quello che avviene dopo.
Al Castello, l’Innominato osserva nel fondo della vallata e vede la carrozza avvicinarsi. Si sente inquieto e vorrebbe mandare Lucia direttamente a don Rodrigo, ma un no imperioso risuona nella sua mente e gli impedisce di agire. Manda incontro a Lucia una vecchia donna che da sempre era al suo servizio e si prepara a ricevere il rapporto del Nibbio. Quando il bravo arriva al Castello…
Il signore gli accennò che lo seguisse; e andò con lui in una stanza del castello.
- Ebbene? - disse, fermandosi lì.
- Tutto a un puntino, - rispose, inchinandosi, il Nibbio: - l’avviso a tempo, la donna a tempo, nessuno
sul luogo, un urlo solo, nessuno comparso, il cocchiere pronto, i cavalli bravi, nessun incontro:
ma...
Questo “ma” segna un cambiamento di tono molto forte. Come sempre il Nibbio avrebbe dovuto raccontare al suo mandante le diverse fasi della sua sciagurata impresa, avrebbe dovuto evidenziare la sua abilità criminale, mostrarsi soddisfatto e suscitare la soddisfazione del suo padrone e invece…
- Ma... dico il vero, che avrei avuto più piacere che l’ordine fosse stato di darle una schioppettata
nella schiena, senza sentirla parlare, senza vederla in viso.
- Cosa? cosa? che vuoi tu dire?
- Voglio dire che tutto quel tempo, tutto quel tempo... M’ha fatto troppa compassione.
Compassione! Ecco una parola fragorosa come un tuono, potente come un colpo di cannone, assordante come lo sparo di uno schioppo.
Una parola spaventosa per chi è abituato a parole che esprimano ben altre sensazioni…
Il Nibbio si è accorto delle sofferenze di Lucia e – incredibilmente - le ha sentire su di sé.
Addirittura ha sofferto con lei. Certamente, perché la compassione è quel sentimento che porta a soffrire con chi soffre, a partecipare al dolore di chi lo prova, fino a sentirlo su di sé.
Non è pena verso la persona che vive un dolore o prova angoscia.
La pena infatti non compromette, la compassione coinvolge;
la pena si prova restando distaccati, la compassione fa entrare nella sensibilità dell’altro;
la pena fa sentire superiori, la compassione colloca sullo stesso piano.
Per la prima volta il Nibbio sente su di sé le sofferenze di un’altra persona, si sente causa del dolore dell’altro. Questa volta, il bravo si scopre sensibile.
L’Innominato è incredulo e quasi si prende gioco del suo primo collaboratore.
- Compassione! Che sai tu di compassione? Cos’è la compassione?
- Non l’ho mai capito così bene come questa volta: è una storia la compassione un poco come la paura: se uno la lascia prender possesso, non è più uomo.
Nonostante dichiari di aver capito bene, il Nibbio non è in grado di definire il sentimento che prova. Riesce solo a dire che chi si lascia prendere dalla compassione non è più un uomo. Certo… fino a quel momento per lui essere uomini significava estromettere ogni sensibilità verso gli altri, qualsiasi coinvolgimento nelle esperienze altrui, soprattutto in quelle più dolorose. A prendere possesso di lui erano state solo la violenza, la prepotenza, la sopraffazione; si era lasciato occupare solo da pensieri di morte… era stato dedito al male e il male aveva preso possesso.
Ora qualcosa di nuovo entra nel suo animo e mostra tutta la sua potenza: la sensibilità verso l’altro, l’attrattiva del bene, il desiderio di vivere una vita diversa, più sensata.
Comprende – seppure confusamente - che c’è un altro modo di essere uomini: quello di chi dà spazio al cuore.
Emblematica la risposta all’ultima domanda che gli rivolge l’Innominato:
- Sentiamo un poco come ha fatto costei per moverti a compassione.
- O signore illustrissimo! tanto tempo...! piangere, pregare, e far cert’occhi, e diventar bianca bianca
come morta, e poi singhiozzare, e pregar di nuovo, e certe parole...
Accanto al pianto e alla preghiera, Lucia ha pronunciato “certe parole” che hanno lacerato la corazza che copriva la sensibilità del Nibbio e hanno aperto un varco alla compassione. Lo hanno aperto nel cuore, dove può agire “Colui che tiene in mano il cuore degli uomini, e può, quando voglia, intenerire i più duri”. Questo Colui è quel Dio che Lucia ha pregato, quella Provvidenza che sa scrivere diritto anche sulle righe storte che gli uomini talvolta tracciano.