E cielo e terra si mostrò qual era: la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d'un tratto, come un occhio, che, largo, esterrefatto, s'aprì si chiuse, nella notte nera.
All’interno della lirica Il lampo, Giovanni Pascoli esprime, in una forma assolutamente originale, una componente fondamentale della propria poetica. Si tratta del fonosimbolismo, quell’insieme di suggestioni sonore attraverso le quali il poeta esprime non solo i propri stati d’animo, ma anche le proprie convinzioni riferite all’esistenza, al suo senso e al suo dramma. Attraverso la componente fonosimbolica, il poeta mette in campo la propria sensibilità e ne fa la chiave per accedere alla realtà più vera e profonda che si nasconde sotto il velo del simbolo.
Al verso 4 della lirica il poeta usa l’espressione tacito tumulto per riferirsi a ciò che il lampo suscita nella sua sensibilità. Va innanzitutto osservato che la parola tumulto ė l’unico elemento che potrebbe rivestire un valore fonosimbolico. Ciò è dovuto al fatto che quel tumulto è solo potenziale, dal momento che avrà attuazione soltanto nell’istante in cui giungerà il tuono. Solo in questo senso il tumulto ė tacito, non tanto perché non fa rumore, ma perché è avvertito interiormente, esclusivamente nella sensibilità.
Il poeta anticipa intimamente il suono del tuono, dando ad esso un preciso valore simbolico, come se il lampo rappresentasse uno squarcio attraverso il quale vedere al di là delle tenebre, sia esteriori – quelle della notte nera – sia quelle interiori, legate al trauma giovanile conseguente all’assassinio del padre Ruggero. Senza soluzione di continuità, la visione cupa e pessimistica dell’esistenza si estende alla natura e così il tacito tumulto diventa espressione della paura che essa è in grado di suscitare, secondo quella ambivalenza che costituisce uno dei cardini della poetica espressa in Myricae.
Domenico Vescia