Sulle pareti della cappella Baroncelli, presso la Basilica fiorentina di S. Croce, il visitatore può osservare le Storie della Vergine, programma iconografico che passa in rassegna la vita di Maria, segnata dalla presenza di Dio e dal suo sguardo. Tuttavia non può evitare di concentrare lo sguardo sulla Pala dell’altare, punto focale e conclusione dell'itinerario, un trionfo di luce e di colore per raffigurare una festa eterna, di cui Maria è la protagonista, ma che vede una folla di figure con il ruolo di comprimari.
È la Pala Baroncelli, opera certa di Giotto, nonostante in passato sia stata attribuita a Taddeo Gaddi, a dispetto dell’iscrizione che recita: "Opus magistri Iocti - Opera del maestro Giotto". La data di realizzazione non è certa, ma può essere collocata intorno al 1328, anno di fondazione della Cappella.
Si tratta di un polittico dalla struttura compatta, anche a causa della raffinata cornice in legno intagliato e dipinto, realizzata dalla bottega di Domenico Ghirlandaio alla fine del Quattrocento. Tale intervento ha tuttavia eliminato le cimase ogivali che coronavano i cinque scomparti in cui l'opera è suddivisa; sopravvive solo la cuspide centrale con la raffigurazione di Dio Padre, oggi conservata a San Diego, in California.
Ogni porzione dello spazio rappresentativo è contenuta in un arco a sesto acuto, sostenuto da esili scanalature, al vertice delle quali sono impostati gli archi definiti da intagli lignei dorati che conferiscono profondità ed eleganza alla struttura. Tra gli archi, i collaboratori del Ghirlandaio hanno inserito sei teste di cherubino, rappresentate di scorcio su fondo scuro.
Alla base della struttura, all’interno di cinque specchiature, si aprono altrettanti riquadri esagonali che contengono l’immagine dell’Ecce homo, al centro, e, da sinistra, un santo vescovo, forse Sant’Antonino, patrono di Firenze, poi San Giovanni Battista, San Francesco e Sant’Onofrio.
Cinque sono i pannelli che compongono l’opera. Essi, tuttavia, non danno luogo a rappresentazioni diverse, ma sono partizioni di un’unica scena. Si tratta di un espediente particolarmente interessante che consente all’artista di vivacizzare l’opera e all’osservatore di immergersi nell’evento raffigurato, gustandone la solennità e la sublimità.
Al centro, il fulcro tematico della scena: su un ampio trono marmoreo dallo schienale rivestito di finissima tappezzeria verde con leggere decorazioni dorate e incorniciato da un nastro rosso disposto “a festone”, Cristo incorona sua Madre dopo la sua Assunzione al cielo in anima e corpo. Maria siede alla destra del Figlio: occupa cioè il posto che spetta alla sua altissima dignità di Madre di Dio. La sua posizione denota grande compostezza; tiene le mani raccolte sul grembo e china leggermente il capo, non solo per consentire a Cristo di donarle la corona di gloria, ma anche per adorare la divinità del Figlio. È colui che è stato generato in lei per opera dello Spirito santo; è l’eterno figlio del Padre che si è fatto uomo nel suo grembo. Uno sguardo attento, orientato anche dalla piega della veste sotto il seno, permette all’osservatore di accorgersi della gravidanza che la disposizione delle mani di Maria evidenzia e protegge, a dire che la persona della Vergine non può essere separata dal suo essere Madre e che il suo ruolo nella storia della salvezza è intimamente connesso alla presenza di Cristo.
Maria ha il capo velato; parte del viso, il mento e il collo sono inoltre nascosti dal soggolo a significare la sua nobiltà di donna “umile e alta più che creatura”, come afferma Dante per bocca di San Bernardo, nel Canto XXXIII del Paradiso.
Ella indossa una finissima veste bianca, ad indicare la sua Immacolata Concezione, con bordi dorati che, iconograficamente, alludono alla sua santità e al fatto che, dopo la sua Assunzione, Ella è immersa nell’eterna beatitudine del cielo. Dalle sue spalle scende uno stupendo mantello rosaceo, arricchito da decorazioni damascate e impreziosito da perle preziose. Il rosa è il colore della gioia, quella stessa che Ella vive per sempre nella beatitudine del Paradiso; le gemme, inoltre, sono simbolo della luce divina che ella riflette.
Significativamente lo stesso mantello scende dalle spalle di Cristo e copre le sue gambe. Anch’Egli, inoltre, indossa una tunica bianca adornata di strisce dorate. Egli è ritto sulle spalle poiché mostra la sua maestà divina e, con dolcissimo gesto, posa sul capo della Madre la preziosissima corona, arricchita di decorazioni a sbalzo e decorata con pietre preziose. L’espressione del volto di Cristo è particolarmente intensa.
Interessante è notare la differenza tra l’aureola, o nimbo, che circonda il capo di Cristo e quella che invece sta intorno al capo di Maria. Quella di Gesù è attraversata dalla Croce gemmata: è il Salvatore Risorto; quella invece della Madre è formata da cerchi concentrici che dicono la grandezza della sua santità.
Ai piedi del trono sono inginocchiati quattro angeli, dalle ali dorate, dalla capigliatura fluente e dalle vivaci vesti azzurre, quelli più esterni, e verdi, quelli all’interno. Gli angeli di destra fissano il volto di Maria, quelli di sinistra, contemplano Cristo. Essi offrono piccoli fiori collocati in vasi preziosi. Sono inoltre disposti in obliquo, a costituire una sorta di boccascena capace di far confluire verso il trono lo sguardo e l’attenzione del sacerdote che officia sull’altare e di qualsiasi fedele sosti nella Cappella.
Gli altri quattro scomparti sono impostati su un’armoniosa simmetria. Rappresentano la festa eterna del Paradiso, affollato di coloro che hanno confidato in Cristo e che ora ricevono il premio per la loro vita colma di fede, di speranza e di carità.
Come testimonia l’oro dello sfondo, si tratta di una festa immersa nella luce, i cui protagonisti sono gli angeli e i santi. I primi sono rappresentati in ginocchio, quattro per ognuno degli scomparti esterni e sei nei riquadri interni. Si tratta di angeli musicanti, secondo il motivo pittorico del concentus angelorum – il concerto degli angeli – iniziato con la diffusione della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine nel XII secolo e continuato lungo tutto il XIII e il XIV, per accompagnare soprattutto le rappresentazioni a carattere mariano. Va osservato che tutti gli angeli rivestiti di azzurro suonano le cosiddette chiarine, lunghe trombe da parata, disposte “chiasmo”, in modo da garantire la simmetria della prospettiva. Nei riquadri più esterni, in primo piano sono posti due angeli, rivestiti da un ampio mantello, che suonano il cosiddetto organo portativo”, il cui suono è prodotto da piccole canne in cui entra l’aria soffiata da un mantice e regolata da tasti. Negli scomparti più interno, invece altri due angeli sono intenti a suonare strumenti ad arco, detti vielle, che appoggiano al mento. Altri angeli, infine sono intenti a cantare.
Un particolare va osservato, se si vuole comprendere in profondità la rappresentazione: le figure angeliche sono le più lontane da Cristo e dall’azione che Egli sta compiendo. I più vicini sono i santi, buona parte dei quali sono rappresentati con le bocche visibilmente aperte a significare il loro canto. La tradizione ecclesiastica, infatti, assegna una dignità superiore al canto, rispetto alla musica.
Quella formata dai santi è una moltitudine, composta da ben 96 figure, tutte orientate verso il fulcro della rappresentazione, a contemplare l’esaltazione di Maria, la loro Regina. Sono disposti “per file”, come se poggiassero i loro piedi su pedane progressivamente più alte.
Il loro affollarsi per partecipare a quello spettacolo di gloria è valorizzato dalla sovrapposizione delle loro aureole che scandiscono lo spazio e contribuiscono a rendere luminose le figure.
La rappresentazione richiama la distribuzione delle schiere dei beati del Paradiso di Dante a cui, con ogni probabilità, Giotto si ispira.
Tra i santi più evidentemente riconoscibili si trovano Santa Chiara, San Francesco e San Benedetto, nel terzo ordine dal basso nel primo scomparto; San Pietro nel secondo; San Paolo nel terzo; san Lorenzo, nell’ultimo.
E così il Polittico, con il suo tripudio di figure, lo splendore dell’oro, la vivacità dei colori, rappresenta l’evento “ultimo”, quello che si svelerà alla fine del pellegrinaggio terreno e che riguarderà il destino di tutti i fedeli di Cristo.
Domenico Vescia