APOLLO e DAFNE di Gian Lorenzo Bernini

dal DRAMMA, la SUBLIME BELLEZZA

apollo e dafne

Si trasforma in pianta di alloro per sfuggire alla passione da cui è agitato Apollo che desidera, a qualunque costo, impossessarsi di lei.

Il dio si invaghisce a tal punto della bellezza della ninfa Dafne da dimenticare che egli presiede alla musica, alle arti, alla poesia, tutte manifestazioni di armonia, di equilibrio, di razionalità.

Cosa c’è di più irrazionale e disarmonico di una passione sfrenata che offusca la mente e rende impossibile riflettere, calmarsi e ritrovare armonia?

Apollo – nel mito che lo vede protagonista, insieme a Dafne, nella prima metamorfosi narrata da Ovidio nell’omonimo libro – è totalmente offuscato dall’impulso amoroso.

Lui, che governa le nove muse del Parnaso e che ispira tutti coloro che si dedicano alle arti, perde letteralmente la testa per la bellissima ninfa e la insegue decisamente, quando lei si lancia in una corsa disperata per sfuggirgli.

Dafne non vuole assolutamente essere raggiunta e prega il padre Peneio, dio fluviale, di intervenire. È disposta a chiedere che sia modificato il suo aspetto, piuttosto che cadere preda del dio che la insegue con grande accanimento e determinazione. E Peneio la accontenta.

Ecco che Apollo le si sta avvicinando e protende la sua mano sinistra per afferrarle il fianco.

Così si esprime Ovidio:

Il dio che l’insegue, aiutato dalle ali d’amore,

è più veloce, non le dà requie, incombe alle spalle

della fuggitiva, e le alita il fiato sulla chioma sparsa.

Per il venir meno delle forze, la ninfa impalli, e vinta dalla fatica

della rapida fuga, guardando le onde del Peneio, disse:

“O padre, portami aiuto, se è vero che voi fiumi avete un potere divino,

distruggi, mutandola, la figura per la quale sono troppo piaciuta”.

Appena le dita del dio sfiorano il fianco della ninfa, inizia la metamorfosi.

Aveva appena finito e già un profondo torpore le invade le membra:

il petto delicato si copre di una scorza sottile,

i capelli si protendono in fronde, in rami le sue braccia,

il piede, poco prima veloce, si interra in inerti radici, una cima d’albero

occupa il suo volto, di Dafne sopravvive solo il fulgore.

Non è facile immaginare come ciò si possa verificare, se non di fronte alla rappresentazione forse più sublime di quanto narra il mito.

apollo e dafne

Si tratta della scultura realizzata tra il 1622 e il 1625 da Gian Lorenzo Bernini, genio assoluto del Barocco romano, per conto del Cardinale Scipione Borghese e oggi conservata presso la Galleria Borghese di Roma.

Lo scultore mette in scena un dramma di grande intensità emotiva.

A colpire lo spettatore sono innanzitutto i volti dei due protagonisti.

apollo e dafne

Il volto della ninfa è contratto e dalle sue labbra sta uscendo un grido di dolore: si sta accorgendo della sua trasformazione, dal momento che sta perdendo i tratti umani. A ben guardare, però, la sua espressione sembra denotare anche una sensazione di sollievo: ha raggiunto il suo obiettivo e non potrà cadere preda di Apollo.

I suoi capelli si stanno trasformando in fronde, le dita delle sue mani si allungano dando origine a ramoscelli destinati ad espandersi.

Tutta la sua figura è sottoposta alla tensione che presiede alla trasformazione: le braccia stanno diventando rami spessi, le gambe si stanno unendo per dar vita ad un solido tronco, le dita dei piedi si stanno mutando in radici pronte ad affondare nel terreno, per dar vita a ben altra circolazione, rispetto a quella del sangue.

La gamba destra della ninfa accentua la metamorfosi: sembra quasi che Dafne stia tentando di sollevarla, ma invano, dal momento che essa è saldamente ancorata al terreno, da cui svetterà un solido e pesante tronco.

apollo e dafne

Apollo ha conseguito l’obiettivo della sua corsa; ha raggiunto Dafne e sta cercando inutilmente di sollevarla, costringendola ad inarcare il busto.

Il suo viso esprime una delicata bellezza e i suoi capelli mossi rivelano la sua perenne giovinezza. Il suo sguardo fa intuire la delusione che prova per non aver raggiunto il suo scopo.

La leggerezza della sua corsa e l’agilità della sua figura sono accentuati dalla gamba sinistra sollevata, dal ginocchio destro leggermente piegato e dal panneggio che, dalla spalla sinistra, scende a coprire i fianchi.

Ecco: Dafne non sarà mai sua. Dal mito, come Ovidio lo racconta, sappiamo che Apollo non si perderà d’animo: continuerà ad amare la bella ninfa e a ritenerla presente sotto le fronde della pianta che egli stesso si dedicherà: quell’alloro, frutto della metamorfosi, servirà ad incoronare tutti coloro che, con la loro arte, esalteranno le qualità umane e perpetueranno la bellezza.

E così l’Apollo e Dafne berniniano, attraverso la rappresentazione di una vicenda tragica, ma affascinante e grazie allo splendore di armonia, equilibrio, proporzioni che racchiude è in grado di suscitare una particolare intensità emotiva in chiunque lo osservi con attenzione.

A dire che l’arte è lo strumento della bellezza che sempre attrae l’uomo.


Domenico Vescia


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