LA CROCIFISSIONE … SECONDO GIOTTO

giotto giudizio universale cappella degli scrovegni

Giotto, Crocifissione, 1303 - 1305 circa, 200 x 185 cm, Padova, Cappella degli Scrovegni

giotto giudizio universale cappella degli scrovegni

Nella Crocifissione che Giotto realizza per la Cappella degli Scrovegni tutto parla il linguaggio del dramma.

Su uno sfondo blu che richiama le dense tenebre che ricoprirono la terra fino alle tre del pomeriggio, secondo la narrazione evangelica, si disperano dieci angeli, disposti simmetricamente attorno alla Croce. Due di essi, come planando dall’alto, allargano le braccia e tendono in alto le mani, ad esprimere il compianto e quasi facendo eco alle parole di Cristo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

Altri due, agli angoli superiori dell’opera irrigidiscono le braccia sotto il corpo e intrecciano le mani, in segno di compassione. Lo stesso gesto si apprestano a fare i due che si trovano sotto di loro, esprimendo il medesimo movimento delle braccia.

Tre angeli sono impegnati a protendere ampie coppe per raccogliere il sangue di Cristo, che fuoriesce dalle ferite che i chiodi provocano nelle mani e dal costato appena aperto dalla lancia.

Un ultimo spirito celeste, a destra, è invece intento a stracciarsi le vesti, preso da intensissima angoscia, come mostra eloquentemente il suo volto. Stracciandosi le vesti, egli sottolinea anche lo scandalo che si sta verificando: sta morendo il Signore della vita!

Le creature angeliche, considerate nel loro insieme, sono rappresentate secondo uno scorcio dal basso, per dare l’impressione che si librino nell’aria.

Essi, inoltre, descrivono una sorta di movimento rotatorio che orienta lo sguardo dell’osservatore sul Figlio di Dio crocifisso.

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Cristo è confitto alla Croce e ha ormai reclinato il capo, dopo aver pronunciato le parole: “Tutto è compiuto!”. Egli è il Cristo sofferente (Christus patiens), ben diverso dalla tradizione iconografica del Cristo trionfante, tipica dei secoli precedenti. Il suo è un corpo reale che sta subendo il supplizio della Croce, lo strumento di morte più atroce che la storia ci abbia consegnato.

Ha realmente versato il suo sangue, come testimonia l’abbondante fiotto che esce dalla ferita del costato. Poggia i piedi sul suppedaneo che, lungi dall’avergli offerto sollievo, ne ha prolungato l’agonia.

Il corpo di Cristo mostra le ossa, soprattutto le costole, con chiaro riferimento alle parole del Salmo 21: “Hanno forato le mie mani e i miei piedi; posso contare tutte le mie ossa”.

Eppure quel corpo non è ricoperto di sangue e non porta traccia dei colpi della flagellazione; si mostra pulito, pur esprimendo grande sofferenza. Il chiarore della carnagione fa pensare a quella luce che, dopo tre giorni, Cristo crocifisso sprigionerà, risorgendo dai morti.

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La Croce è piantata sulla roccia del Golgota, che in ebraico significa “luogo del cranio”. A questo alludono i resti umani posti sotto la roccia, come in una caverna, sopra i quali fa bella mostra di sé proprio un teschio. Fin dai tempi antichi, la spiritualità cristiana ha voluto rappresentare, sotto il Calvario, la testa di Adamo, per significare che Cristo è il Nuovo Adamo, Colui che salva ogni uomo, liberandolo dalla condanna del peccato e dalla sua conseguenza più tragica: la morte.

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Ai piedi della Croce si trova Maria di Magdala, colei che aveva seguito Cristo come un’autentica discepola. È rivestita di una veste violacea e porta lunghi capelli, che ne costituiscono la principale caratteristica iconografica. Dalle sue spalle è caduto un mantello di colore marrone, allusione alla sua rinuncia totale al mondo, per dedicarsi totalmente a Cristo.

Con le sue lacrime sta bagnando i piedi di Gesù e, con la mano destra, allunga una ciocca dei suoi capelli per detergere dal sangue il piede sinistro di Cristo.

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Sulla sinistra un gruppo di pie donne accompagna Maria addolorata, che indossa una lunga tunica della stessa tonalità del cielo. Ha il volto affranto, gli occhi chiusi ed esprime un’intensa sofferenza. Le sue braccia sono totalmente abbandonate e il suo corpo sta subendo una leggera torsione, ad indicare che ella sta per svenire. Questo è il motivo per cui due donne, rappresentate accanto a lei, la stanno sorreggendo, trattenendola dalle braccia.

Secondo quanto afferma l’evangelista Giovanni sono la sorella di Maria e Maria di Cleofa. Con le espressioni dei loro volti mostrano la capacità di immedesimarsi nei sentimenti della Madre di Cristo, che sta vivendo una sofferenza tanto acuta.

giotto giudizio universale cappella degli scrovegni

Sul lato opposto una figura semi nascosta sta riponendo il bastone con in cima la spugna, con cui qualcuno dei presenti, secondo il racconto giovanneo, aveva dato da bere a Gesù. Sullo sfondo si osserva un vessillo sventolante e una gran folla di soldati, armata di bastoni. Quattro di loro si trovano in primo piano. Due militari, rivestiti entrambi con colori sgargianti, sono raffigurati in posizione laterale e nell’atto di contendersi la preziosa tunica di Gesù, “tessuta tutta di un pezzo, senza cuciture”. Il soldato più a destra brandisce un coltello e si appresta a dividere l’indumento, ma un commilitone si affaccia tra i due contendenti e gli ferma la mano. Quella tunica non deve essere rovinata; occorre invece tirare a sorte per stabilire a chi debba essere assegnata.

Nel gruppo si distingue una figura, vestita di rosso e con una sorta di corona sul capo. È il centurione che, come testimonia l’evangelista Marco, avendo visto spirare Cristo in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”. Alzando la mano destra egli sta indicando Gesù, mentre guarda in volto una persona che gli si avvicina con sguardo interrogativo.

È una figura chiave per comprendere il senso del dramma che si consuma sul Golgota.



Domenico Vescia