Giotto, Giudizio Universale, 1303-1305, affresco, 1000 x 840 cm, Padova, Cappella degli Scrovegni, controfacciata
Cristo Giudice è il centro focale della rappresentazione. È raffigurato come si mostrerà alla fine dei tempi, nel pieno della sua maestà divina, come Re dell’Universo, sintesi e senso di tutta la storia. Una lettura squisitamente teologica dell’opera ci porta a dire che Egli, apparendo come giudice, attua il disegno di Dio che – come afferma l’apostolo Paolo – consiste nel ricapitolare in Cristo tutte le cose.
La mandorla dentro la quale è rappresentato assume significati di grande valore.
Innanzitutto essa ricorda la forma del pesce che, già nei primi secoli cristiani, costituisce una professione di fede cristologica. Le lettere del termine greco “pesce” – ichtus – costituiscono, infatti, un acronimo, diventando le iniziali delle parole “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”. Il frutto della mandorla, inoltre, consiste in un involucro esterno che racchiude il seme al suo interno e quindi può richiamare il mistero di Cristo, vero Dio e vero Uomo. Egli appare in forma umana, ma conserva la sua natura divina.
Ma ancora: il mandorlo è il primo albero a fiorire, al termine della stagione invernale, e quindi può rappresentare la Risurrezione. Un ultimo significato: la forma della mandorla consiste in due cerchi che si intersecano. Ciò richiama l’umano e il divino che, in Cristo, sono riconciliati. Grazie al Figlio di Dio, infatti, l’uomo è salvato e – attraverso il Battesimo – è destinato alla festa eterna del Paradiso.
Quel Cristo che appare dentro la mandorla e siede sul trono della sua gloria non è quindi un’immagine terrificante, ma è la rivelazione della vocazione dell’uomo, chiamato ad una felicità senza fine o, come direbbe il libro dell’Apocalisse, destinato ad abitare la Gerusalemme celeste, “splendida come gemma preziosissima”.
Al vertice dell’affresco si mostra la Città Santa, dalle mura dorate e gemmate, a simboleggiare la prospettiva di vita e di gloria a cui sono destinati i credenti: essa compare dietro il cielo che sta per scomparire, letteralmente arrotolato da due angeli, come recita ancora il Libro dell’Apocalisse al capitolo 6: “Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge”. All’esterno la rappresentazione del cielo è blu ma, all’interno, si presenta di colore rosso, per richiamare l’amore verso Dio, necessario per ottenere la salvezza.
Anche il sole, raffigurato a sinistra, e la luna, posta a destra, sono destinati a dissolversi, compresi in quell’azione di arrotolamento che, in realtà, è una “nuova creazione” perché dà origine a “cieli nuovi e terra nuova”. La luce sarà assicurata da Cristo stesso che sarà tutto in tutti.
Al di sotto, la corte celeste, divisa in due schiere.
Quella raffigurata a sinistra è guidata dall’Arcangelo Gabriele, che porta il vessillo con cui annuncia il ritorno definitivo di Cristo. Dietro di lui stanno tre angeli armati di lancia e successivamente, come un vero esercito, si mostrano quattro plotoni; un altro lo si intuisce dietro lo spazio occupato dalla grande finestra.
La schiera di destra è invece scortata da Michele, che mostra la lancia e la spada con cui colpisce e sconfigge il drago di cui parla l’Apocalisse, difendendo così gli amici di Dio e proteggendo il popolo fedele. Ad accompagnarlo altri tre esponenti della milizia celeste, che portano vessilli: il primo è nero, ad annunciare la sconfitta di satana e di tutti coloro che hanno scelto di stare dalla sua parte; un altro è di colore rosso, forse a significare la vittoria, e il terzo mostra una croce in campo bianco, lo stesso segno dei crociati, pronti a combattere per difendere i diritti di Dio.
Accanto a loro, si trovano altri esponenti della milizia celeste, rappresentati in assetto da combattimento, con scudi di forma e colori diversi.
Dodici serafini stanno intorno alla mandorla in cui si mostra Cristo: sono gli angeli più vicini a Dio e quindi a pieno titolo accompagnano la manifestazione piena e definitiva alla fine dei tempi. I primi due, in basso, stanno suonando le trombe del giudizio, per annunciare la risurrezione dei corpi.
Nella mandorla iridata, Cristo-giudice siede su un trono costituito da figure simboliche, a cui è possibile attribuire un significato: un centauro, che potrebbe richiamare la duplice natura di Gesù, vero uomo e vero Dio; un leone, simbolo della Risurrezione; un uomo con corpo da aquila, figura dell’Ascensione, ma anche della Sapienza divina; un orso associato ad un pesce, per indicare l’azione redentrice del Figlio di Dio - il pesce – verso l’umanità indebolita dal peccato.
Cristo indossa una tunica rossa, segno della sua divinità, bordata d’oro, a simboleggiare il suo sacerdozio eterno. Il suo piede destro esce dal bordo della mandorla per indicare è che Egli è colui che viene a giudicare il mondo e a svelare i cuori.
Il nimbo che avvolge il suo capo racchiude tre specchi sui quali si riflette la luce che proviene dalla parte opposta della cappella.
Particolarmente significativi sono i gesti delle sue mani e l’orientamento del suo corpo. Guarda alla sua destra, verso coloro che chiama alla salvezza eterna. A costoro mostra il costato trafitto e, con la mano aperta, li chiama e li accoglie; con le labbra, inoltre, sembra pronunciare le parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno preparato per voi”.
Ben diverso è il gesto della mano sinistra, con la quale allontana da lui coloro che non hanno saputo amare e che si sentiranno dire: “Via, lontano da me!”.
Accanto a Cristo stanno i 12 apostoli a cui Egli aveva promesso di sedere con Lui a giudicare le 12 tribù di Israele. A destra si trovano Pietro, Giacomo, Giovanni, Filippo e Tommaso; a sinistra: Matteo, Andrea, Bartolomeo, Giacomo il minore, Giuda Taddeo e Mattia. I loro troni, tutti diversi, sono posti a semicerchio, per dare profondità alla scena.
Nel registro inferiore, a sinistra (la destra di Cristo) trovano posto i beati e, nella parte opposta, i dannati.
La mano aperta del Salvatore imprime un’energia vitale che richiama dalla morte le persone che sono rappresentate nel bordo inferiore dell’affresco. Sono coloro che risuscitano dalla tomba e rivestono il loro corpo. Al di sopra si trovano i santi, disposti in due gruppi, uno inferiore e un altro al di sopra, entrambi scortati da angeli dalle ali iridate, come negli affreschi di Pietro Cavallini nella Basilica romana di S. Cecilia in Trastevere. Tra le figura rappresentate in basso si riconoscono Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman, da poco canonizzati.
È riconoscibile anche la figura di Dante, con una corona d’alloro attorno alla testa, e, davanti a lui, una figura con berretto giallo, che la tradizione identifica come l’autoritratto di Giotto. A capo delle figure del gruppo più in alto, si trova Maria; dietro di lei due persone dalla lunga barba, forse Gioacchino, padre della Vergine, o Zaccaria, padre del Battista, o il vecchio Simeone. Il Santo con il mantello tra il giallo e l’arancione è, con molta probabilità, Giuseppe.
Sulla destra (alla sinistra di Cristo) si trovano i dannati. Dalla mandorla, in modo impressionante, si dipartono quattro fiumi di fuoco che trasportano schiere di anime che precipitano rovinosamente verso Lucifero, del cui potere demoniaco sono ormai schiave. Tra i dannati si distinguono esseri dal corpo plumbeo: sono i demoni che ghermiscono le anime, le scherniscono, le precipitano rovinosamente, le sottopongono ai supplizi più crudeli, le appendono dalle membra, dai capelli e anche dai genitali.
Lucifero, il personaggio più imponente, siede su un trono a forma di mostro marino: è il Leviatano, simbolo di tutti i mali che possono mandare in rovina gli uomini e i popoli. È dotato di corna; dalle sue orecchie escono due serpenti e, con la sua bocca, sta torturando un uomo, come nella raffigurazione di Coppo di Marcovaldo e altri autori, nel Battistero di San Giovanni in Firenze.
Al di sotto della mandorla, a separare i beati dai dannati, campeggia la Croce di Cristo, sorretta da due angeli. Agli estremi del braccio orizzontale si vedono ancora i chiodi conficcati nel legno e si osservano tracce di sangue. È elevata, come il serpente innalzato da Mosè nel deserto, perché guardando ad essa e lasciandosi perdonare si ottiene la salvezza. Alla base un piccolo uomo tenta di sollevarla e di trasportarla. Un particolare interessante, che ricorda il cireneo e che richiama il pensiero verso tutti coloro che, per amore di Cristo, si fanno carico dei dolori dei fratelli, nella carità.
Alla destra della Croce è raffigurato Enrico Scrovegni, mentre sta offrendo il modello della Cappella a Maria, accompagnata da San Giovanni Evangelista e da Santa Caterina d’Alessandria. Un sacerdote – forse colui che è chiamato ad officiare nella cappella stessa - porta sulle spalle il peso dell’edificio. Fa pensare al vero scopo di quell’offerta, voluta da Enrico per tentare di riscattare il padre Reginaldo, colpevole del reato di usura, con una fama tale da meritarsi la condanna di Dante, che lo pone tra i dannati, nel canto XVII dell’Inferno.
Una rappresentazione complessa, il Giudizio Universale di Giotto e di grande impatto emotivo. Ciò che all’artista – e a coloro che lo hanno aiutato a mettere a punto il suo progetto iconografico – sta a cuore è il desiderio di mostrare come il mondo, la storia, la vita di ogni uomo abbiano un senso e camminino verso una meta.
Domenico Vescia