Giotto, Il Crocifisso di San Damiano, 1295 - 1299 circa, 230 x 270 cm, Assisi, Basilica Superiore
"Pregando il beato Francesco dinanzi all'immagine del Crocifisso, dalla croce venne una voce che disse tre volte: "Francesco, va', ripara la mia chiesa che tutta si distrugge", con ciò alludendo alla Chiesa di Roma".
San Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior
Dopo la visione del palazzo, afferma S. Bonaventura nelle Legenda maior, Francesco è ancora ad Assisi "in attesa della volontà di Dio".
Egli - è ancora Bonaventura ad affermarlo - è diventato un "modello di obbedienza". Ha imparato a distaccarsi da sé e dalle sue ambizioni poiché ha capito che è da un Altro che può giungergli la parola decisiva per la sua vita. In attesa di conoscere ciò che debba fare, si dedica alla preghiera.
Un giorno aveva incontrato un lebbroso. In un primo tempo aveva provato orrore, ma poi aveva pensato che, se avesse voluto essere degno cavaliere di Cristo, avrebbe dovuto "vincere se stesso". Era sceso da cavallo e, senza più esitare, aveva abbracciato e addirittura baciato quell'uomo che, tuttavia, era subito scomparso dalla sua vista.
Quell'incontro era stato il primo di una lunga serie di momenti e gesti di carità verso i poveri e i lebbrosi, accostati e soccorsi. Non dimenticava però la necessità di riflettere.
Un giorno, mentre percorre la campagna assisiate in atteggiamento meditativo, si trova a passare davanti alla vecchia chiesa di San Damiano. Essa è rappresentata nel quarto dei ventotto riquadri giotteschi delle Storie di San Francesco, lungo la navata dell Basilica Superiore di Assisi.
L'artista indulge sui particolari che rendono evidente la rovina di quella casa di Dio, perché è proprio questa il cuore di ciò che sperimenta Francesco.
Quello che rimane di San Damiano è rappresentato di scorcio, secondo una prospettiva intuitiva, come tutti gli edifici raffigurati nel ciclo. Una parte delle pareti è crollata, così come la copertura a capriate del soffitto. Anche l'abside è piuttosto malridotta. Essa però conserva il suo potere di far convergere lo sguardo dell'osservatore, nonostante egli "entri" idealmente nella chiesa attraverso il lato corrispondente a quello che resta della navata.
La chiesa, seppur diroccata, costituisce lo sfondo e, nello stesso tempo, una sorta di "scatola" che racchiude i due personaggi che, sulla scena, giocano il ruolo di comprimari: Francesco e Cristo.
Nell'abside campeggia il Crocifisso, sbiadito e consunto.
Di fronte a quel Crocifisso si trova Francesco, ormai spogliato di tutto ciò che poteva identificarlo con il figlio del ricco Pietro di Bernardone e semplicemente vestito. È inginocchiato e fissa con intensità il volto di Cristo, con il quale entra in intima sintonia, tanto che riesce ad ascoltare la sua voce.
Con grande abilità l’artista isola la sua figura all'interno di uno spazio ben delimitato
Se è sbiadita l'immagine di Cristo dipinto sul legno della Croce collocata sull'altare, è nitida la voce che raggiunge Francesco: "Va’ e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!".
A quella voce, il futuro Santo prova stupore e tremore, si sente quasi rapito, come afferma S. Bonaventura nella Legenda maior.
Tornato in sé inizierà a rimboccarsi le maniche per riparare quella chiesa, restaurandone le mura, riparandone il tetto e riportandola alla primitiva dignità. Solo più tardi capirà che la richiesta di Cristo avrà ben altra portata.
Sul lato opposto un recinto con intarsi in stile cosmatesco.
È lo spazio in cui l'osservatore potrebbe immaginare di entrare.
Ha osservato la scena dall'esterno della navata; per comprendere, tuttavia, deve immaginare di fare ingresso in quella chiesa tanto malconcia: anche a lui Cristo potrebbe chiedere qualcosa e indicare una missione.
Domenico Vescia