Giotto, San Francesco in estasi, 1295 - 1299 circa, 230 x 270 cm, Assisi, Basilica Superiore
"Come il beato Francesco, pregando un giorno fervidamente, fu scorto dai frati levarsi da terra con tutto il corpo, con le mani protese; e una fulgidissima nuvoletta risplendette intorno a lui."
San Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior
Alte mura, con la porta che immette nel borgo; edifici elevati e sovrapposti, disposti con ampia volumetria cubica, ad indicare l’abbondanza di popolazione. L’episodio rappresentato si svolge in un contesto ben preciso e in un momento esatto della vita di Francesco. Siamo a Borgo San Sepolcro, nel 1178. Stando alla narrazione contenuta nel capitolo X della Legenda maior, il Santo attraversa la popolosa località sopra un asinello, a causa della malattia. Una folla gli si fa intorno, spinta dalla devozione verso di lui; lo circonda, lo stringe, tocca il suo saio, ma egli appare insensibile a tutti. San Bonaventura annota che Francesco è come “un corpo senz’anima” e “non avverte assolutamente nulla di quella manifestazione”, a tal punto che, mentre si dirige verso un lebbrosario, chiede ai suoi frati se siano già giunti al borgo.
Francesco dimora fuori dalle mura cittadine, nei boschi, che raccolgono la voce della sua preghiera, i gemiti delle sue penitenze, le lacrime che accompagnano la sua meditazione intorno alla Passione di Cristo. Ed ecco che una notte, come racconta San Bonaventura, “fu visto con le mani stese in forma di croce, sollevato da terra con tutto il corpo e circondato da una nuvoletta luminosa: luce meravigliosa diffusa intorno al suo corpo, che meravigliosamente testimoniava la luce risplendente nel suo Spirito”. Si tratta di un’esperienza estatica che vede il Santo profondamente unito a Dio.
Davanti alle mura del borgo sta il gruppo dei frati che assistono alla scena. Essi, in modo diverso, testimoniano il loro stupore. Quello che sta più a sinistra alza lo sguardo, dirigendolo stupefatto verso il volto di Francesco; il confratello che gli sta davanti trattiene il saio con la mano sinistra, come a voler indietreggiare, e solleva la destra in segno di sorpresa. Il suo viso esprime una meraviglia pensosa. Il terzo frate, di cui si scorge solo il volto, prova un indiscutibile stupore, mentre la figura più interna porta la mano al petto, come sentisse il bisogno di unirsi all’esperienza mistica del suo Fondatore. I quattro personaggi, anche grazie alla disposizione obliqua dei corpi e alla posizione dei piedi, appaiono visibilmente animati.
Al centro campeggia la figura di Francesco, circondato per buona parte dalla vaporosa nuvola che lo eleva da terra. Il suo corpo è slanciato, anche per trasmettere con più efficacia la sensazione del movimento ascensionale a cui è sottoposto. Le mani sono elevate e disposte in forma di croce, un gesto di grande eloquenza, reso ancora più accentuato dal vistoso panneggiamento del saio. Conviene osservare la posizione delle mani che denotano attitudine alla preghiera di lode.
Cristo irrompe nella scena, affacciandosi dall’angolo in alto, a destra. Si staglia su uno sfondo di nubi, elemento iconografico che accompagna ogni manifestazione del divino. È vestito con un’ampia tunica rossa, il colore della divinità, e protende la mano destra, le cui dita esprimono un gesto benedicente. Il suo capo è circondato dal nimbo con la croce gemmata, ad indicare che egli è il Salvatore Risorto.
Dal gruppo dei frati fino alla figura di Cristo, passando attraverso la raffigurazione di Francesco è possibile tracciare una diagonale, espediente che accentua il movimento ascensionale della rappresentazione.
Un’alta linea separa il cielo dal contesto terreno che mostra uno sfondo imprecisato, a significare che l’estasi immette in una dimensione atemporale chi ne fa esperienza. Solo una collinetta sormontata da un frondoso albero e con alcuni arbusti alla base si mostra sulla destra. Si tratta forse di un’allusione al Tabor, il colle della Trasfigurazione di Cristo, di cui l’esperienza di Francesco è immagine.
Domenico Vescia