GIOTTO, IL PITTORE DELL’UOMO CHE ALZA LO SGUARDO

giotto

Nel corso degli ultimi decenni del 1200 e di buona parte del Trecento, l’Italia centro-settentrionale vive un’epoca splendida.

giotto

Gli abitanti dei borghi e delle città mostrano una grande intraprendenza nella gestione della vita pubblica: i mercanti fanno a gara per assicurare un’economia prospera capace di garantire benessere; gli artigiani vivacizzano le strade con botteghe di ogni genere; gli artisti affinano le loro competenze per costruire edifici che rendano orgogliosa la popolazione e possano superare in splendore le chiese, i palazzi pubblici e le dimore signorili di altri centri. È la civiltà comunale, un periodo di grande fervore, durante il quale predomina la dimensione comunitaria.

Fecerunt commune: è l’espressione latina che mostra il nuovo spirito che anima l’epoca e da cui deriva la parola “comune”. Abitare una città significa considerarsi parte di una compagine più ampia, pensare in termini sovraindividuali, coltivare interessi che promuovano e avvantaggino l’intera comunità.

Questo è il contesto che vede all’opera personalità come Dante Alighieri e Giotti di Bondone, due protagonisti assoluti dei decenni a cavallo tra Duecento e Trecento, quando le città si popolano di splendidi edifici ed entrano in circolazione opere letterarie di grande spessore.

Con Dante la letteratura non è più solo – o prevalentemente – espressione di sentimenti individuali o di sistemi ideali personalmente costruiti: l’espressione letteraria assume un respiro più ampio, capace di coinvolgere diversi campi del sapere e di intercettare i bisogni dell’uomo considerato in sé, con la sua sete di sapienza, il suo bisogno di realizzazione e di felicità, il suo desiderio di vincere ciò che lo ingabbia e gli impedisce di esprimersi. La riflessione e l’opera dell’intellettuale–Dante spazia dall’amore alla morale, dalla filosofia alla politica, dalla lingua alla teologia.

dante Alighieri

Nello stesso clima si forma ed opera Giotto, figlio di Bondone, nato a Vespignano, nel Mugello, tra il 1267 e il 1269.

Incerte sono le informazioni circa la sua formazione artistica che la tradizione vuole affidata al grande Cimabue. Intorno ai vent’anni convola a nozze con Ciuta di Lapo del Pela, da cui ha otto figli, quattro maschi e altrettante femmine.

I primi lavori giotteschi si collocano nel suo Mugello e quasi certamente ad Assisi, dove si reca tra il 1288 e il 1292 per collaborare con la bottega di Cimabue alla decorazione delle Storie d’Isacco. La città umbra, dove si trova ancora nel 1297, vede il suo exploit artistico, con il ciclo dei suoi 28 riquadri dedicati alle Storie di San Francesco, nella Basilica Superiore del Santo.

A più riprese, e segnatamente in occasione del Giubileo del 1300, Giotto si reca a Roma dove incontra maestranze del calibro di Cimabue, di Pietro Cavallini, che lavora (proprio a cavallo del Giubileo) alla realizzazione di decorazioni a mosaico nelle Basiliche di S. Maria in Trastevere, di S. Cecilia e di San Paolo fuori le mura; Jacopo Torriti e Filippo Rusuti, impegnati a S. Maria Maggiore; Arnolfo di Cambio, che tanto influirà sulla resa pittorica delle architetture.

Nell’Urbe Giotto disegna il cartone del mosaico della Navicella, per la loggia dell’antica Basilica di San Pietro, all’interno della quale realizza anche la decorazione ad affresco dell’abside, oggi perduta. Dipinge anche il Trittico Stefaneschi, oggi conservato nella Pinacoteca Vaticana. Nel passato è stato erroneamente attribuito a Giotto l’affresco che rappresenta l’indizione del primo Giubileo da parte di Bonifacio VIII, presso San Giovanni in Laterano, a motivo della sua affinità con lo stile dell’artista e forse di una sua diretta influenza sugli artisti romani dell’epoca.

giotto

Completamente di mano giottesca è la decorazione della Cappella degli Scrovegni, a Padova, a cui l’artista dà inizio probabilmente nel 1303. Dall’Annunciazione affrescata sull’arco trionfale, al Giudizio Universale sulla parete di fondo; dai grandi medaglioni della volta con le raffigurazioni del Cristo benedicente, dei profeti e della Vergine alle Storie di Maria e del Redentore e fino alle allegorie dei vizi e delle virtù, lungo le pareti destra e sinistra dell’aula: tutto parla il linguaggio dello stupore di fronte alla bellezza dei misteri della fede. Si tratta delle opere che danno l’idea della stima di cui Giotto viene circondato e della superiorità che gli viene attribuita e che ampiamente consoliderà attraverso lavori quali gli affreschi nelle Basiliche Inferiore e Superiore di Assisi; la decorazione delle Cappelle Bardi e Peruzzi, in Santa Croce a Firenze; i polittici Baroncelli e Stefaneschi.

Non a caso Dante si farà interprete di una comune attestazione di ammirazione, citando Giotto nel Canto XI del Purgatorio:

Credette Cimabue nella pittura
tener lo campo ed ora ha Giotto
il grido sì che la fama di colui oscura.

Giotto dà avvio ad un modo nuovo di interpretare l’arte e la sua funzione: dipingere significa anzitutto porsi davanti alla realtà e leggerla attraverso uno sguardo profondamente umano.

Il pittore è colui che, insieme al letterato, possiede una chiave privilegiata per accedere alla profondità del mondo, per interpretarlo e per rappresentarlo, assegnando all’uomo il posto che gli spetta.

In quest’ottica la natura diventa il contesto in cui la persona vive un’esperienza; l’architettura costituisce lo spazio in cui l’uomo agisce; città e campagna sono i luoghi in cui si verificano incontri che plasmano la vita e modificano la sensibilità. Le “cose” che Giotto dipinge sono consistenti, possiedono una massa, sono sperimentabili e abitabili. Per questo l’artista si preoccupa della resa pittorica, nonostante possieda solo le abilità della prospettiva intuitiva e dello scorcio.

giotto

Giotto, Compianto sul Cristo morto, Padova, Cappella degli Scrovegni

Se limitate sono le competenze tecniche, è però sconfinata la capacità di rappresentare le figure. Giotto mette in campo personaggi dotati di consistenza volumetrica, capaci di assumere pose definite, provvisti di volti reali da cui far trasparire il mondo interiore.

I protagonisti della rappresentazione dialogano tra loro, rivelano dubbi e certezze, esprimono pensieri e mostrano ciò che si muove nel loro cuore e nella loro sensibilità; aprono le loro bocche per esprimere domande, dubbi, lamenti; spalancano i loro occhi per mostrare stupore o per indagare; muovono le loro mani e i loro piedi per incontrare ed entrare in relazione; piegano il loro corpo per chinarsi sull’altro o per prostrarsi di fronte a Dio.

È la cura nella rappresentazione dell’uomo e dell’esperienza umana la vera rivoluzione giottesca, quella che renderà unico l’artista e innovativa la sua opera.

In questo contesto – e proprio in esso – trova collocazione il divino.

In Giotto, Dio è eterno consiglio: con la sua volontà salvifica Egli irrompe nella storia e nella vita degli uomini per rivelare i suoi disegni di redenzione e per guidarli alla realizzazione perfetta della loro vocazione alla felicità. È un Dio da contemplare e di fronte al quale stupirsi, lasciando sgorgare spontanea la lode. Gli uomini rappresentati da Giotto innalzano lo sguardo ed allargano le braccia e si scoprono guardati, si sentono amati; hanno coscienza di essere accompagnati e sperimentano la relazione.

Tutto ciò a patto che si facciano umili come due tra i personaggi più amati dal pittore, Maria e Francesco, in grado di lodare perché capaci di accogliere la novità sconvolgente dell’irrompere divino. Non a caso, Dante ha posto una tra le più eloquenti espressioni di lode sulla bocca dei superbi che, nel Purgatorio, comprendono la necessità di farsi umili e di riconoscersi bisognosi di Dio:

Laudato sia ‘l tuo nome e ‘l tuo valore
da ogne creatura, com’è degno
di render grazie al tuo dolce vapore. (Pg XI, vv. 4-6).

Domenico Vescia