Trovarsi di fronte alla Madonna Sistina significa percepire una sorta di svelamento.
Questa consapevolezza è suscitata da due particolari.
Innanzitutto Maria con il Bambino si mostra dopo l’apertura di un sipario. Due spesse cortine verdi si sono infatti appena aperte per consentire all’osservatore di vedere la Vergine.
Non sfugga il particolare del bastone soprastante, la struttura cioè alla quale il tendaggio è ancorato tramite anelli che ne consentono lo scorrimento. E’ piegato al centro, a dire il peso di quella sorta di sipario.
Cosa ha voluto significare Raffaello, studiando quell’effetto? Credo che si potrebbe cogliere questo messaggio: per accorgersi dello splendore divino che si mostra, di quel Bambino che viene incontro all’uomo tra le braccia della Madre, occorre lo sforzo di aprirsi alla presenza di Dio nella vita personale, nell’esperienza quotidiana, suscitando una disponibilità nuova e più profonda.
C’è tuttavia un altro particolare che è fondamentale notare. Maria si sta muovendo verso il fedele che si trova a sostare davanti all’opera. Per avere questa sensazione occorre osservare la particolare posizione dei piedi della Vergine e percepire anche l’andamento digradante di quella sorta di tappeto di nubi sopra il quale Ella sta camminando.
Ecco l’altro messaggio: quel Bambino, vero Dio e vero uomo, è Colui che si è abbassato verso l’uomo, colui che – come dice San Paolo – non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma ha spogliato se stesso assumendo la condizione umana.
E’ la notizia sconvolgente di un Dio che si è abbassato, si è svuotato, per amare gli uomini in una forma impensabile: diventando uomo, pur conservando la propria natura divina.
Questo è il messaggio teologico di quest’opera stupenda.
Raffaello dipinge la Madonna Sistina tra il 1513 e il 1514, mentre si trova a Roma e sta lavorando nelle stanze vaticane, quasi certamente su commissione di papa Giulio II, per l’altare maggiore della Chiesa di S. Sisto a Piacenza. Il papa vuole forse festeggiare il ritorno della città nello Stato Pontificio.
L’opera avrebbe dovuto essere collocata al centro dell’abside, in posizione sopraelevata.
Raffaello, con ogni probabilità, sfrutta questa particolare collocazione che gli consente di accentuare l’impressione di un movimento “discendente” da parte della Vergine.
Dietro la figura della Vergine si diffonde una luce soffusa che accentua la sua persona e fa risaltare i colori della sua veste e del suo manto; sulla sua persona soffia un vento sensibile, che fa rigonfiare il velo, modellando il suo corpo.
Il primo elemento – la luce – mette in evidenza la manifestazione del Bambino Gesù, portato sulle braccia della Madre; una vera epifania celeste di grande impatto visivo ed emotivo.
Il vento invece evoca l’azione dello Spirito Santo, quello stesso Spirito che ha fatto sì che Maria di Nazaret, divenasse la Madre del Figlio di Dio.
Lo sfondo è costituito da una miriade di visi angelici, come nella Madonna di Foligno, a dare l’idea di un contesto celeste, in cui Maria è Regina, degli angeli e dei santi.
Il volto di Maria è di grande bellezza. E’ il viso di una ragazza giovanissima, dai lineamenti delicati, di cui potremmo indovinare la purezza e la santità dei pensieri. Non si può non ricordare quello che sottolinea il Vangelo: Ella conservava ogni parola di Dio e la meditava nel suo cuore.
Ella guarda il fedele con intensità e con amabilità. Ed egli si sente accolto, ascoltato, quasi invitato a qualche confidenza …
Maria indossa una veste rossa ed un ampio manto azzurro. Rosso e azzurro: i colori dell’umanità e della divinità. Maria è una creatura umana, ma su di lei si è posato lo sguardo di Dio che l’ha preservata Immacolata per essere Madre del suo Figlio.
Un ampio velo ocra avvolge il capo, si inarca verso destra e avvolge in basso il Bambino.
Ritroviamo la stessa dolcezza di Maria sullo sguardo del Bambino.
I suoi occhi si aprono intenti, come per scrutare la persona che sta davanti alla tela, per leggerne il cuore. Per chi crede è lo sguardo di Dio che considera il cuore, sede della saggezza, “luogo” in cui ha origine la decisione di vivere da cristiani.
Il Bambino si abbandona tra le braccia della Madre. Avvicina alla sua guancia la fronte, sembra pronto ad ascoltare quello che Lei gli sussurrerà.
Posa il braccio sinistro sulla sua stessa gamba destra, appoggiata al braccio della madre, con la spontaneità tipica dei fanciulli.
Sulla sinistra, proprio sotto una delle due falde della tenda si trova San Sisto II, papa. E’ rappresentato come un uomo anziano, dalla barba canuta. Indossa un ampio e prezioso piviale dorato su cui sono incise figure e decorazioni monocromatiche, soprattutto ghiande, simbolo della famiglia della Rovere, casata di Papa Giulio II. Il piviale contribuisce ad accentuare l’idea del movimento.
Porta la mano sinistra sul petto ad indicare la sua devozione verso la madre di Dio, che sta contemplando con intensità e, con l’indice della mano destra, indica a Maria il devoto che sosta in preghiera davanti al quadro. E’ un particolare interessante: quel dito sembra uscire dalla tela per farle assumere un carattere tridimensionale e così ampliare la percezione dello spazio scenico.
Ai suoi piedi e all’angolo sinistro della rappresentazione emerge il particolare del triregno papale, appoggiato su un’ideale balaustra posta al fondo del quadro. E’ il segno della committenza dell’opera da parte di papa Giulio II, che oltretutto venera san Sisto II come patrono della sua casata, quella dei Della Rovere.
Di fronte a lui, è rappresentata una bellissima ed elegantissima Santa Barbara, dalla ricca acconciatura e dal raffinato abito alla moda cinquecentesca, che, insieme all’abito di Maria, fa da contrasto con lo sfondo chiaro e abbastanza freddo.
Dietro di lei, e quasi nascosta dalla tenda, è rappresentata la torre, simbolo della Santa.
Anch’ella porta una mano, la sinistra, al petto e con l’altra trattiene la veste.
Guarda in basso, verso quella coppia di angeli, divenuti famosissimi.
I due angioletti alla base della rappresentazione sembrano osservare la scena, senza tuttavia restarne coinvolti. Quello di destra guarda verso l’alto, incrociando le braccia, come un bambino che cerca il riposo dopo i suoi giochi. L’altro appoggia sul mento la mano sinistra, con atteggiamento ingenuo ed interrogativo.
L’opera restò nella Chiesa piacentina di San Sisto fino al 1754 quando i monaci benedettini, oberati dai debiti, la vendettero ad Augusto III di Sassonia che la collocò a Dresda. Nel 1945 fu requisita dai soldati russi, dopo l’offensiva militare contro la Germania, e fu trasportata a Mosca dove rimase fino al 1955 per fare ritorno definitivo a Dresda.
Pare che Augusto III abbia voluto occuparsi personalmente della collocazione dell’opera, dopo averla acquistata dai benedettini e che, spostando altre tele per farle spazio, abbia esclamato: “Fate posto al grande Raffaello!”.
Domenico Vescia