Esperienza terribile quella di Dante, che si vede impedito l'ingresso nella Città di Dite, una sorta di fortezza dalle mura infuocate, all'interno della quale sono puniti gli eresiarchi. Il poeta e la sua guida
devono attraversare la Palude Stigia, che circonda il luogo ad imitazione dei borghi medievali di pianura, attorniati da fossati.
Così il poeta descrive quell’ambiente:
Questa palude che ‘l gran puzzo spira
cigne d’intorno la città dolente,
u’ non potremo intrare omai sanz’ira (If IX, vv. 31-33)
La cinta muraria è difesa da diavoli che, con atteggiamento minaccioso, impediscono l’ingresso.
Nelle terzine conclusive del canto precedente Virgilio aveva lasciato da solo Dante per il tempo necessario ad avvicinarsi ai diavoli e convincerli ad aprire le porte della Città; il suo tentativo però fallisce miseramente ed egli torna deluso e arrabbiato, tanto da spaventare il poeta che si sente smarrito ed impaurito.
Tuttavia il terrore giunge quando, dall’alto della torre della città infuocata, Dante e la sua guida vedono rizzarsi tre furie infernali: sono Megera, Aletto e Tesifone.
Esse si presentano con aspetto terrificante: attorno al loro corpo si muovono le idre, serpenti d’acqua di colore verde e, al posto dei capelli, hanno serpenti muniti di corna. Sono sporche di sangue e, con le loro stesse unghie, si feriscono il petto.
Ma ciò che più impressione il poeta sono le urla sguaiate che esse emettono e che accompagnano una minaccia atroce:
“Vegna Medusa: sì ‘l farem di smalto” (If IX, v. 52)
Invocano Medusa, la più terribile delle Gorgoni, uccisa – secondo il mito - da Perseo che le taglia la testa da cui esce Pegaso, il cavallo alato.
Il pericolo rappresentato da Medusa è subito chiarito da Virgilio che ammonisce il poeta:
Volgiti ‘n dietro e tien lo viso chiuso;
ché se ‘l Gorgon si mostra e tu ‘l vedessi,
nulla sarebbe di tornar mai suso. (If IX, vv. 55-57)
Se il poeta vedesse il volto di Medusa resterebbe pietrificato per l’eternità.
Nell’economia del Canto IX, la terribile gorgone è simbolo dell’eresia, dell’ostinazione a perdurare nell’errore tipica degli eretici, della freddezza con cui gli impenitenti accolgono gli inviti a rinunciare alle loro false convinzioni.
A noi, che leggiamo la Commedia cogliendone il valore allegorico - didascalico, in virtù del quale ogni personaggio assume un significato in ordine alla ricerca del bene, è concesso soffermarci sul ruolo e l’importanza della parte più minacciosa della figura di Medusa: il volto e ciò che da esso si origina, vale a dire lo sguardo.
Per la gorgone lo sguardo è un’arma potente e terrificante e il suo potere rappresenta il tradimento, la contraddizione, l’annientamento dell’essenza profonda e del valore dello sguardo umano.
Innanzitutto Medusa pietrifica e blocca quel flusso di segnali che chi guarda invia a chi è guardato.
Gli occhi, infatti, esprimono pensieri, sentimenti, giudizi riguardo all’interlocutore.
Essi accompagnano i gesti delle mani, la posizione del corpo, l’inflessione delle parole, la scelta di stare vicino o, al contrario, di prendere le distanze dall’interlocutore: si tratta dei cosiddetti gesti prossemici, che favoriscono o, al contrario, rendono difficoltosa e addirittura impediscono, la relazione.
Uno sguardo “pietrificatore” annulla ogni comunicazione perché, innanzitutto, blocca la relazione, rende duro il volto e gli impedisce di essere permeabile alla presenza di un interlocutore.
Ben diverso è, invece, lo sguardo di chi fa di Medusa la figura di ciò che deve essere assolutamente evitato perché profondamente disumano.
Solo chi si guarda dal pericolo di essere pietrificato si accorge dell’autentica potenza degli occhi.
Essi – e lo sguardo che essi rendono possibile – sono una finestra aperta, dalla quale affacciarsi sull’altro per entrare in relazione con lui,
per far parte del suo mondo interiore e far nascere quell’empatia che condivide la gioia o allevia il dolore;
per manifestare comprensione, partecipazione, adesione;
per offrire aiuto e sostegno;
per costruire legami profondi e vitali.
Gli occhi hanno la responsabilità del giudizio: se sono benevolenti ospitano l’altro e lo rendono compagno di strada; se invece si rivelano indagatori e criticanti, allontanano e separano.
Gli occhi sono, infine, una porta che attende solo di potersi aprire perché il mondo riempia il cuore e lo commuova,
lo plasmi con quella bellezza di cui è piena la realtà, ma che spesso non può manifestarsi perché un velo di scontatezza annebbia lo sguardo.
Domenico Vescia