Il Mausoleo della famiglia Crespi nell’omonimo Villaggio Operario

UN ORIZZONTE CHE INTERROGA SULL’ESISTENZA

chiesa parrocchiale trezzo 1911

La sensazione è fondamentale per comprendere il progetto e l’opera di Gaetano Moretti e, soprattutto, per ricavare un messaggio esistenziale, vero scopo dell’architettura e dell’arte funeraria.

Il complesso cimiteriale di Crespi d’Adda ruota attorno al Mausoleo della Famiglia Crespi, una costruzione possente, come consistente, materica e reale è la morte. È un’opera robusta, capace di imporsi allo sguardo e di interpellare la sensibilità di chi vi si trova di fronte.

crespi villaggio operaio

Veduta aerea del Villaggio di Crespi d’Adda (fonte: L’Eco di Bergamo)

Il grande edificio si staglia all’orizzonte del lungo viale che, costeggiando il complesso dell’antica fabbrica, attraversa il Villaggio. È appartato rispetto al nucleo abitato, ma certamente distinguibile quando lo sguardo spazia, abbracciando i luoghi in cui si dipana la vita dei cittadini. Nel loro vagare, gli occhi incontrano le case, ordinate, squadrate e dignitose come è ordinata e dignitosa una vita che risponde ad un progetto e si svolge acconsentendo ad una visione che pone al centro la persona e le sue esigenze. Vedono la fabbrica che rende tangibile una sorta di abbraccio reciproco tra i datori di lavoro e gli operai, in una logica di mutua risposta e di reciproco sostegno. Certamente c’è la visione paternalistica ottocentesca alla base del progetto del Villaggio, ma si tratta di un “paternalismo illuminato”, che fa di tutto per creare sinergia tra chi possiede i mezzi di produzione e chi può avvantaggiarsi dall’utilizzarli; tra chi è “proprietario” e chi presta la forza delle proprie braccia.

Lo sguardo incontra la bella chiesa parrocchiale, una sorta di riparo da una visione puramente materialistica dell’esistenza.

Al di sopra, ben individuabili, le abitazioni del medico e del parroco, a dire che siamo fatti di corpo e di anima, che abbiamo bisogno di chi si occupi e si pre-occupi, che esiste una cura vicendevole che rende serena la vita comunitaria.

E poi gli spazi dell’educazione, dello svago, della vita associata…

mausoleo crespi

E laggiù, nel fondo del Villaggio, il luogo della sepoltura. Occorre volerlo guardare e desiderare di raggiungerlo, perché il pensiero della fine non è quotidiano e neppure spontaneo. In condizioni normali l’idea della morte è come “ricoperta”: la quotidianità, fatta di lavoro, di relazioni, di preoccupazione, progetti, occasioni, scadenze e ricorrenze, riveste e nasconde i pensieri estremi, quelli che devono fare i conti con il destino e con l’eternità, quelli che esigono un bilancio dell’esistenza.

Il cimitero del Villaggio è in fondo all’abitato, come all’estremo dell’esistenza c’è la realtà che esso significa e che, in qualche modo, ospita e custodisce.

A volere un camposanto era stato lo stesso Cristoforo Benigno Crespi che, raccogliendo le rimostranze dei residenti, aveva ingaggiato una vera battaglia perché il Villaggio potesse disporre di un luogo di sepoltura autonomo. Gli abitanti erano infatti costretti a seppellire i loro morti presso il Cimitero di Canonica d’Adda, a cui il territorio apparteneva, nonostante le celebrazioni esequiali si svolgessero nella Parrocchiale di Capriate, a cui spettava la giurisdizione ecclesiastica. Il Crespi dovette però attendere il 1905 per ottenere l’approvazione unanime da parte del Consiglio Comunale di Capriate. In realtà egli, già nove anni prima, nel giugno 1896, aveva indetto un pubblico concorso a cui parteciparono illustri accademici di Brera[1], tra cui il vincitore: Gaetano Moretti, l’architetto che si sarebbe reso benemerito anche a Trezzo, con la realizzazione della Centrale Taccani e i lavori di ampliamento e completamento della Chiesa Prepositurale.

Per tre anni Moretti lavorò al progetto: provvide alla delimitazione dello spazio tramite una robusta cancellata in stile liberty, ai riporti di terra, alla piantumazione e, soprattutto, al vero centro del sito: il Mausoleo Crespi che si erge imponente e monolitico proprio di fronte all’ingresso, a costituire una sorta di immagine eloquente di quel progetto padronale che aveva determinato l’intero Villaggio.

Il progetto a cui Moretti dà vita si impone per la sua ecletticità: accanto ad elementi tipici dell’arte classica, come la proporzione tra i volumi o la presenza di decorazioni proprie della simbologia funeraria, si trovano ornamenti liberty e orientaleggianti. L’uso del ceppo dell’Adda, la pietra tipica del territorio, abbondantemente impiegata anche nelle realizzazioni trezzesi, rende la costruzione parte integrante del tessuto naturalistico e paesaggistico in cui è inserito.

La costruzione si sviluppa su tre piani. La parte inferiore è la più ampia e vede un corpo centrale, destinato ad essere proseguito dalle due componenti superiori, affiancato da due sviluppi laterali su cui si aprono tre strette finestre per lato, centinate con decorazioni liberty. Al centro si trova un imponente portale con battenti in bronzo e ulteriori decorazioni in stile floreale. Con la sua austerità e la sua pesante consistenza esso evoca la realtà del trapasso, inevitabile e drammatica e, insieme, l’ingresso in una nuova dimensione. La parte superiore è occupata da una finestra pentafora, scandita da pilastri chiari e centinata; al di sopra di essa il simbolo paleocristiano del Chrismon, formato dall’intreccio delle prime due lettere della denominazione greca di Cristo: la X (chi) e la P (rho) del nome Christos. Tale simbolo è presente anche sugli altri lati, come richiamo alla salvezza. Esso inoltre introduce al significato delle tre statue allegoriche che si trovano al di sopra di una porzione di edificio decorata a festoni e di alcuni gradoni che accennano ad una sorta di cupola. Si tratta delle rappresentazioni delle tre Virtù teologali. Siedono con autorevolezza sull’ultimo gradone, una sorta di trono da cui esse regnano, dal momento che costituiscono le condizioni per poter entrare in relazione con Dio su questa terra e per poterne godere la visione beatifica nell’altra vita.

A coronamento della struttura si trova, come se fosse la lanterna di quella strana cupola, un imponente “dado” di pietra, da ogni faccia del quale emerge una croce greca.

All’interno, strutturato secondo tre gallerie e predisposto per ospitare ben cinquanta sepolture, prevalgono decorazioni marmoree, impreziosite da una vetrata di Luca Beltrami che funge da pala per l’altare dedicato al Redentore[2].

Un emiciclo è l’unico elemento curvo del complesso e abbraccia il visitatore. Esso ricorda che la morte, cristianamente intesa, non è un baratro spaventoso o una lugubre e insensata realtà che grava come una condanna. Chi guarda alla propria esistenza con la dignità con cui ha vissuto onestamente la quotidianità, può vederla attesa da due braccia che si spalancano al suono di una voce che sussurra: “ Venite, benedetti!”.

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Agli estremi dell’emiciclo si trova, ripetuto, un particolare curioso che è interessante notare: da elementi decorativi che ricordano conchiglie si affacciano civette che dirigono il loro sguardo verso l’osservatore. La loro simbologia, in ambito funerario, è una chiara allusione alla sapienza di chi sa vedere oltre all’apparenza della morte ed è pertanto un richiamo per tutti coloro che visitano il Cimitero ed osservano il Mausoleo. L’animale si affaccia dall’interno di una conchiglia che, nell’iconografia cristiana, è simbolo di vita e di risurrezione. Ecco il senso della sepoltura: non solo un ricordo, ma una speranza di vita.

Domenico Vescia



[1] LUIGI CORTESI, Crespi d’Adda. Villaggio ideale del lavoro, Edizioni Grafica a Arte, Bergamo 1995, p. 119

[2] GABRIELE PERLINI, Crespi d’Adda, il Cimitero, 24 marzo 2021, Ecomuseo di Leonardo