Un affresco didascalico, che segue fedelmente la narrazione dell’evento, interpreta sentimenti ed emozioni, dà conto dell’angoscia che vivono gli uomini, ma anche della gioia che pervade gli animi.
È l’opera realizzata dai pittori genovesi Gianluca e Carlo Molinari, tra il 1719 e il 1721, sulla volta della parte antica del Santuario della Madonna delle Lacrime di Treviglio.
Ciò che l’affresco narra riguarda il momento centrale di ciò che accade nella giornata del 28 febbraio 1522: il generale francese Lautrec decide l’assalto al borgo, dopo aver sdegnosamente rifiutato la richiesta di perdono da parte dei consoli della città che, con la corda al collo e con la cenere sul capo, gli erano andati incontro e, spalancando le porte della città, gli avevano chiaramente dimostrato la volontà di arrendersi.
Eccolo, Lautrec, nella parte bassa della rappresentazione. È in sella al suo destriero già lanciato verso l’assedio. Con gesto imperioso il feroce comandante delle truppe francesi lascia in ginocchio coloro che gli si erano fatti incontro per supplicarlo. Dietro il suo cavallo sono visibili addirittura una donna, prostrata con il suo bambino, e un uomo vecchio e malconcio, che tiene sulle spalle una stampella, usando la quale si era penosamente trascinato fino ai piedi dell’invasore.
Nessuno può raffreddare lo sdegno del generale, neppure i due uomini che si trovano sulla sua traiettoria, anch’essi inginocchiati a supplicare, forse i consoli della città.
Alle sue spalle un cavaliere dal vistoso cimiero, con un’asta si apre la strada, quasi ad impedire che altri supplicanti possano infastidire lui e il resto dell’esercito e rallentare così la marcia dei soldati. Dietro di lui, ma a debita distanza, la soldataglia, visibilmente eccitata dall’avidità per quel bottino pronto per tutti coloro che avrebbero messo a ferro e fuoco Treviglio. Due cavalli, in primo piano, mostrano le terga, per accentuare il movimento a cui sono stati incitati. Stanno muovendo all’assalto, spinti dai loro cavalieri. Quello di sinistra, in sella al cavallo scuro, imita il gesto imperioso del suo generale e alza la destra mostrando il bastone del comando. Il suo cavallo sta calpestando un’ampia bandiera bianca, forse quella che i consoli della città avevano portato con loro, a nome degli abitanti, in segno di resa. Il soldato che è munito di un vistoso elmo a cimiero e cavalca il destriero bianco sta suonando il corno di guerra, per incitare i compagni e, nello stesso tempo, per acuire il terrore che già aveva invaso gli animi degli abitanti di Treviglio. Alla sua destra un altro suonatore si slancia a tal punto nella battaglia che persino il cavallo si volge indietro. A ben guardare questi soldati sono pronti a seguire il loro generale dopo aver distrutto quanto hanno incontrato sulla loro strada. Nella parte più bassa della rappresentazione, dove dominano le tonalità più scure, sono infatti visibili uomini atterrati e merci sparse: botti, stoffe legnami …
Davanti e accanto a loro, nell’estrema parte destra dell’opera, si intravvedono lance e si intuisce la presenza di altri soldati.
Eccolo, il borgo di Treviglio, sullo sfondo, con la torre civica ben visibile. Era servita per avvistare l’avanzata del nemico in lontananza, laggiù, dalle parti di Rivolta. Si intravedono le abitazioni e altri edifici, racchiusi all’interno delle mura cittadine. Tra il generale e il Borgo, si trova la campagna, costellata di cespugli e arbusti, destinati ad uscire malconci anch’essi, dopo il passaggio delle truppe francesi, determinate a piegare ogni ostacolo.
È l’alba. Sopra la città il cielo si sta schiarendo grazie alle prime luci del mattino ma, sopra una lingua di nubi che riflette il chiarore, si addensano ammassi più scuri, presagio del male che sta per colpire: distruzione, morte, dettate dalla volontà di vendetta e dal desiderio di annientare.
Alcune di quelle nubi, tuttavia, si fanno più dense e guadagnano il primo piano, così che l’osservatore abbia l’impressione che si stia verificando una ben altra offensiva. Non si tratta più di guardare l’incedere impetuoso dei soldati; ora l’attenzione deve concentrarsi su un intervento prodigioso. Qualcosa di nuovo sta accadendo: ciò che tutti avevano invocato, ma di cui nessuno poteva dirsi certo.
Quante preghiere erano salite e stavano salendo al cielo e, proprio in cielo, Qualcuno si muove a pietà.
Ecco, gli angeli rappresentati al centro della composizione lo stanno annunciando. Quelli collocati sulla parte destra stanno guardando in alto e sono già investiti dalla luce, altri – a sinistra – sono impegnati a spostare le nubi, come a diradare quella coltre di terrore che grava sul borgo.
Tre angeli, al centro, sembrano consultarsi tra loro: hanno un annuncio da dare. Del resto è il loro compito: sono angeli, cioè annunciatori di buone notizie. E quale notizia migliore, per i trevigliesi, di quella che la loro città sta per essere salvata?
Certo! Proprio di salvezza si tratta.
Nella parte superiore dell’affresco è tutto uno sfavillare di luce. Ed ecco che, da sinistra, si affaccia Colei che raccoglie le preghiere degli abitanti del borgo che, fiduciosi, si rivolgono a lei, pregando davanti alla sua dolce immagine, affrescata all’esterno del Monastero di Sant’Agostino. È Madre e non può essere sorda verso le invocazioni dei figli.
Si affaccia dal cielo, volge lo sguardo proprio nella direzione in cui si trova Lautrec. È uno di quei potenti che – come Ella stessa aveva affermato nel Magnificat – Dio “rovescia dal trono” per “innalzare gli umili”. È per gli abitanti del borgo di Treviglio che Ella sta congiungendo le mani, innalzandole supplichevole davanti a quel suo Figlio che tiene sulle ginocchia. A lui chiede il miracolo, a quel Figlio che nulla rifiuta alla Madre.
Un gruppo di angeli innalza la nube su cui Maria siede, come su un celeste trono; altri si librano leggeri tra i raggi luminosi che si diffondono, affacciandosi tra le nubi e circondando la loro Regina. Essi occupano anche l’estremo opposto della rappresentazione perché ormai, in cielo, si sta vivendo una festa che anticipa e annuncia quella che sta per coinvolgere i trevigliesi, laggiù, sotto quelle nubi che, da fosche e pesanti, stanno diventando luminose e leggere.
La loro Madre laggiù, all’esterno del Monastero sta versando copiose lacrime, un prodigio di fronte al quale neppure il feroce Lautrec può indurire il cuore. E’ un guerriero spietato, ma nessuna crudeltà può resistere al pianto di una Madre e nessun cuore può restare indurito di fronte alla sollecitudine di Maria.
La volta è come un palcoscenico che si apre. Gli artisti hanno prolungato pittoricamente gli elementi architettonici, per aumentare la percezione dell’altezza, ma anche per accentuare l’impatto scenografico.
Colori, personaggi, pose … tutto ha lo scopo di coinvolgere emotivamente l’osservatore che, fissando la metà inferiore deve poter percepire il dramma e, alzando lo sguardo, può contemplare, grato e gioioso, la condiscendenza divina.
L’intera rappresentazione è, infine, racchiusa in una ricca cornice, come un quadro destinato a conservare la memoria di ciò che rappresenta.
Domenico Vescia